Khartoum, 4 giugno 2023
I morti sono ovunque. Nelle case, per le strade, nei giardini. Nessuno sa quanti siano i morti in Sudan dal 15 aprile, data dell’inizio del conflitto tra le forze armate sudanesi di Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid Support Forces, capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemetti. Qualcuno parla di oltre 1.800 vittime ma sono probabilmente molte di più.
Dopo due mesi di feroci combattimenti per il controllo della capitale del Sudan, gli abitanti di Khartoum si trovano di fronte a un problema che non nessuno aveva previsto: cosa fare di tutti i cadaveri che si accumulano nelle strade della capitale? Ormai non funziona più nulla, nemmeno i servizi essenziali. Non ci sono più i necrofori e quindi la popolazione ha deciso di trasformarsi in “becchini volontari”.
Un residente ha raccontato di aver sotterrato tre persone nella casa del loro giardino e altri ancora nella strada dove abita. “Non è un granché, ma sempre meglio che vedere i cani randagi mentre smembrano i cadaveri”, ha aggiunto.
Spesso sono vittime del fuoco incrociato camminano per strada o semplicemente perché si sono affacciate alla porta di casa o perché i proiettili hanno fracassato i vetri delle finestre, uccidendo le persone all’interno della stanza.
Il giovane ha raccontato che anche in altri quartieri le persone hanno sotterrato i cadaveri per non lasciarli in stato di decomposizione o alla mercede dei cani randagi in mezzo a una strada.
Moltissimi, invece, sono stati sepolti nelle aree vicine all’Università di Khartoum, nei pressi della stazione di servizio Seddon, un noto punto di riferimento. Ma non esiste un elenco di nomi e tantomeno il numero esatto di persone sepolte nelle case o nei quartieri del Sudan. La guerra è anche questo.
Un altro signore, un agente immobiliare, ha spiegato ai reporter della BBC: “Non importa dove seppelliremo i morti, la priorità è seppellerli. È un’azione caritatevole. Il viaggio verso il cimitero può durare giorni e i cecchini sono ovunque. Stiamo cercando di aiutare la società per evitare una catastrofe sanitaria. È un dovere religioso e morale”.
I volontari hanno precisato di aver scattato delle foto dei morti e del luogo di seppellimento, per facilitare la loro identificazione se dovesse essere necessario.
“Sono certamente buone azioni, ma c’è il rischio che così facendo si rischia di distruggere involontariamente le prove di eventuali crimini di guerra”, ha chiarito il capo del sindacato dei medici, Attia Abdullah Attia. “Le tumulazioni caritatevoli potrebbero sotterrare per sempre la verità”, ha aggiunto.
Il medico ha poi insistito sul fatto che la sepoltura dei corpi è compito delle autorità sanitarie, della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa sudanese. “C’è inoltre il rischio di diffusione di malattie in caso di sepoltura non protetta”.
Quando gli è stato chiesto perché pensa che sia possibile seguire la prassi ufficiale qui in Sudan, dove il sistema sanitario e l’ordine pubblico sono crollati, ha risposto che i Paesi stranieri dovrebbero collaborare in tal senso.
Malgrado le riserve di Attia, la gente è convinta che non esiste altra soluzione, proprio causa del crollo quasi totale della sanità pubblica e dei servizi essenziali. E, anche se i servizi sanitari, in collaborazione con la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa sudanese cercano di trasferire i corpi nei cimiteri, spesso i combattimenti ostacolano l’arrivo delle squadre di sepoltura.
Mentre la gente cerca di sopravvivere in mezzo a tanta violenza e di seppellire i propri morti con dignità, si allontana sempre di più la possibilità di poter istituire un tribunale per processare i colpevoli di crimini di guerra.
Africa ExPress
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