Cornelia I. Toelgyes
5 maggio 2023
Venerdì scorso i paramilitari di Rapid Support Forces (che una volta si chiamavano janjaweed) hanno occupato il Museo Nazionale del Sudan. Lo ha riferito il vicedirettore Ikhlas Abdellatif secondo cui il personale della struttura non è attualmente al corrente di quanto succede all’interno. Ha infatti interrotto qualsiasi attività con lo scoppio del conflitto. Anche la polizia addetta alla sorveglianza dell’immenso patrimonio archeologico culturale custodito nel museo, ha dovuto abbandonare la postazione.
Si teme però che il materiale storico possa aver fatto la fine della biblioteca universitaria nazionale che a metà maggio è stata occupata dalle milizie e defraudata da manoscritti rari e poi data alle fiamme, facendo sparire una delle più importanti fonti della memoria storica della cultura sudanese.
Secondo informazioni non confermate i paramilitari del RSF sono ritirati dal museo nazionale, che si trova sulle rive del fiume Nilo, al centro di Khartoum, vicino alla banca centrale, un’area dove si sono svolti alcuni combattimenti molto intensi.
Sabato, hanno pubblicato un video, girato in alcune sale che ospita antiche mummie e altri preziosi manufatti, negando di aver danneggiato la collezione, invitando persone o organizzazioni di entrare per eventuali verifiche.
Nel filmato si vedono anche alcuni miliziani mentre coprono con lenzuola le mummie esposte, chiudendo poi i sarcofagi bianchi nelle quali sono contenute. Non è però ancora chiaro chi e quando siano state scoperte le preziose reliquie.
Tra le migliaia di reperti di inestimabile valore, ci sono mummie imbalsamate risalenti al 2.500 a.C., oltre a ceramiche e antiche pitture murali e manufatti che vanno dall’età della pietra fino all’epoca cristiana e quella islamica, ha spiegato l’ex direttore Hatim Alnour.
Roxanne Trioux, che fa parte di un’équipe archeologica francese al lavoro in Sudan, ha dichiarato di aver monitorato le immagini satellitari del museo e di aver visto potenziali segni di un inizio di incendio già prima di venerdì. “Al momento attuale non conosciamo l’entità dei danni all’interno”, ha sottolineato l’archeologa francese.
Il cessate il fuoco tra le forze armate sudanesi e Rapid Support Forces (RSF), iniziato il 22 maggio, è scaduto sabato sera.
Grazie alla mediazione di Stati Uniti e Arabia Saudita, i combattimenti si erano leggermente attenuati, permettendo così un accesso, seppur limitato, degli aiuti umanitari. Come in precedenza, anche questa tregua è stata spesso violata. E, purtroppo, i colloqui per una estensione del cessate il fuoco sono stati interrotti a Gedda venerdì scorso.
Domenica gli scontri tra le parti in causa – le forze armate del presidente Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio sovrano e di fatto capo di Stato dell’ex condominio anglo-egiziano da un lato e le RSF, capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemetti, si sono intensificati in diversi quartieri della capitale Khartoum. Anche nel Darfur settentrionale, come hanno riferito alcuni attivisti, nuove violenze hanno causato la morte di almeno 40 persone.
Testimoni hanno riferito che i pesanti combattimenti di venerdì e sabato hanno portato il caos a Kutum, una delle città principali e un importante centro commerciale del Darfur settentrionale.
L’esercito ha smentito che le RSF, gli ex janjaweed milizie tribali arabe del Darfur, che avrebbero preso il controllo di Kutum.
Secondo quanto hanno riferito alcuni testimoni oculari, un aereo militare si sarebbe schiantato a Omdurman, città gemella della capitale, oltre la sponda del Nilo. Finora le forze armate non hanno rilasciato commenti sull’incidente.
La lotta per il potere, scoppiata in Sudan il 15 aprile, ha innescato una gravissima crisi umanitaria: gli sfollati sono più di 1,2 milioni di persone mentre altre 400.000 hanno cercato protezione negli Stati confinanti, i morti sono oltre 1.800.
La Mezzaluna Rossa sudanese ha fatto sapere che sono state seppellite 180 salme non identificate: 102 nel sud di Khartoum e 78 nel Darfur. Dall’inizio della guerra, il 15 aprile, gli operatori umanitari e i volontari hanno avuto difficoltà a recuperare i corpi “a causa dei vincoli di sicurezza”.
Oltre agli americani e ai sauditi, anche l’Unione Africana – che ha sospeso il Sudan nel 2021 – e l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) – blocco regionale dell’Africa orientale del quale fa parte il Paese – si sono dette pronte ad attuare una roadmap per il Sudan. Sabato, Yousif Izzat, inviato speciale di Hemetti, ha incontrato il presidente del Kenya, William Ruto, a Nairobi. Lo ha dichiarato lo stesso leader kenyota sul suo account Twitter.
Nonostante l’annuncio di sanzioni statunitensi contro l’esercito e i paramilitari, i combattimenti con armi pesanti non si arrestano, i saccheggi proseguono e il numero di sfollati continua ad aumentare. A Khartoum, i civili sono privi di acqua potabile e devono far fronte a carenze di denaro e interruzioni di corrente. Gli autisti degli autobus che operano tra Khartoum e le province hanno dichiarato sabato di essere “bloccati dalle autorità alle porte della capitale”.
Ben 45 milioni di abitanti del Sudan necessitano si assistenza umanitaria, gli aiuti che arrivano per via aerea sono bloccati alla dogana e al personale internazionale viene negato il visto per supportare gli operatori locali, sfiniti o rintanati nelle loro case a causa dei combattimenti. Dall’inizio del conflitto sono stati uccisi diciotto operatori umanitari.
Venerdì scorso, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha prorogato la missione integrata di assistenza alla transizione delle Nazioni Unite in Sudan (UNITAMS), una missione politica speciale, per fornire sostegno al Sudan, per soli sei mesi. Volker Perthes, capo di UNITAMS, non è più il benvenuto nel Paese. La settimana scorsa, al-Bourhane ha chiesto che venisse sostituito. Ma Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha espresso la sua “assoluta fiducia” in Perthes.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
Twitter: @cotoelgyes
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