SUDAN

Laboratorio attaccato dalle milizie: a Khartoum si teme contaminazione biologica

Africa ExPress
26 aprile 2023

La capitale Khartoum, teatro di feroci scontri dal 15 aprile, è ora anche a elevato rischio biologico.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha lanciato l’allarme, una delle parti in conflitto ha preso il controllo di una struttura sanitaria nazionale dove si conservano gli agenti patogeni del morbillo e del colera per le vaccinazioni. I tecnici della struttura, che ospita anche la più grande banca del sangue del Paese, sono stati mandati via.

OMS ha poi sottolineato che la prolungata mancanza di elettricità rende impossibile la corretta gestione del materiale nel laboratorio. Il complesso scientifico non è lontano dal centro della città e si trova nei pressi dell’aeroporto.

Gran parte delle strutture sanitarie di Khartoum non funzionano attualmente a causa della mancanza di personale, della carenza di medicinali, di interruzioni di corrente o di attacchi.

Mentre continuano le evacuazioni degli stranieri in Sudan, la guerra nel Paese non conosce tregua. Poco fa il ministro degli Esteri di Riad ha fatto sapere che alle 05.00 ora locale è arrivata alla base navale di King Faisal, Gedda, la nave “Amana”, battente bandiera saudita con a bordo oltre 1.600 persone di almeno 50 nazionalità diverse.

OMS: rischio biologico a Khartoum

Malgrado l’annunciato cessate il fuoco di 72 ore mediato dagli Stati Uniti con le parti in causa, si continua a sparare. A Omdourman, città gemella della capitale al di là del Nilo è stata usata l’artiglieria pesante. Insomma la battaglia per la conquista del potere tra le forze armate sudanesi guidate da al-Burhan, presidente del Consiglio sovrano e capo di Stato e le Forze di Supporto Rapido, il cui leader è Dagalo, detto Hemetti, nonché vicepresidente del Paese, proseguono.

L’ex dittatore Omar al Bashir, spodestato nell’aprile 2019 proprio da al-Barhan e Dagalo, non è più in galera. Almeno, secondo quanto ha raccontato Ahmed Haroun, alto funzionario durante il regime islamista, che in una dichiarazione fatta ieri all’emittente Sudan’s Tayba TV, ha detto che al Bashir ha lasciato la prigione di Kober insieme a altri funzionari che si assumeranno la responsabilità della propria protezione.

Omar al-Bashir, ex presidente del Sudan

Al-Bashir, al momento del “rilascio dei suoi”, non era presente nella prigione di massima sicurezza di Kober. Si trovava in ospedale già prima dello scoppio di questa lotta spietata tra i due contendenti.

Intanto crescono a vista d’occhio i prezzi di carburante e dei beni di prima necessità. La situazione umanitaria è vicino alla catastrofe, tenendo conto anche del fatto che gran parte degli ospedali della capitale è inaccessibile.

E’ gravissima anche la situazione dei migranti. Il Sudan, è un hub della migrazione. Specie per coloro che non sono in possesso di regolari documenti, il Paese è diventato un incubo. Molti, soprattutto eritrei scappati da una feroce dittatura, cercano di spostarsi verso Kassala. I costi dei bus sono diventati proibitivi e il passaggio dai molti check-point, controllati dai paramilitari delle RSF, è un vero incubo.

Tesfa News, giornale on line simpatizzante della dittatura di Asmara, ha affermato che il governo di Isaias Aferwerki “sta facilitando l’evacuazione di centinaia di cittadini dalla capitale Khartoum attraverso il valico di frontiera di Arbateasher-Kassala”. Certo, gli uomini di Isaias non stenderanno un tappetto rosso all’arrivo dei fuggitivi. Per i più si apriranno le galere del regime.

Anche a Geneina, capoluogo del Darfur occidentale, la tregua mediata dai civili non ha retto. Edifici governativi, utilizzati come rifugi dagli sfollati, sono stati bruciati e si sentono spari in tutta la città, soprattutto nella periferia, El Jamarik, dove è situata la principale base dell’RSF.

West-Darfur: abitazioni bruciate

Sembra invece reggere il cessate il fuoco nel Darfur settentrionale, dove un’associazione civile, “Comitato per i buoni uffici” è riuscita a mediare una “tregua illimitata” con le forze armate e le RSF.

E a Nyala, capoluogo del Sud Darfur, si è persino svolta un’iniziativa popolare, lanciata da giornalisti e attivisti della società civile. Parecchia gente è scesa nelle strade per chiedere STOP alla guerra.

Di fatto da sabato nella città regna la calma, la corrente elettrica è stata ristabilita e i residenti hanno ripreso a uscire per rifornirsi dei beni di prima necessità.

Gli abitanti del Darfur temono che il conflitto scoppiato nella capitale, possa peggiorare la situazione in tutta la loro regione.

Va ricordato che sia Dagalo che al-Burhan hanno lavorato a fianco a fianco in Darfur nel periodo della terribile guerra civile, durante la quale sono morte almeno 300mila persone e diversi milioni hanno dovuto lasciare le proprie case.

L’attuale presidente ha fatto carriera nell’esercito in Darfur. Hemetti, invece, è stato un leader di una milizia janjaweed, che ha combattuto in sostegno del governo durante la guerra.

Nonostante i ripetuti accordi di pace, i conflitti tribali non si sono mai placati completamente, anzi negli ultimi due anni le violenze sono persino aumentate. E Ahmed Gouja, giornalista e attivista per i diritti a Nyala, ha dichiarato alla Reuters: “Se la situazione continuerà, se verranno uccisi comandanti militari che fanno parte di tribù influenti, ci sarà l’anarchia. Ci sarà una mobilitazione tribale”.

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