18 aprile 2023
A Khartoum i combattimenti si susseguono a colpi di cannone, come del resto in gran parte del Sudan. Appena terminata la tregua di poche ore nella serata di domenica per motivi umanitari nella capitale, sono ricominciati i boati dell’artiglieria pesante, degli spari, nonché il rombo degli aerei da guerra.
I sette milioni di abitanti di Khartoum sono allo stremo, barricati in casa per il timore di essere bersaglio di pallottole vaganti. Molti sono sfollati o profughi, scappati da guerre o contrasti interni. Avevano sperato di aver finalmente trovato pace e sicurezza, di non dover rivivere tali momenti di angoscia.
La metropoli è sull’orlo di una catastrofe umanitaria: il suo già fragile sistema sanitario è vicino al collasso, mancano acqua e corrente ed è sempre più difficile reperire cibo e beni di prima necessità.
Anche in altre parti del Paese si combatte. A Niyala, nel Sud-Darfur, sono morti almeno 22 civili dall’inizio del conflitto. Tra domenica e lunedì sono stati saccheggiati gli uffici dei ministeri delle Finanze, degli Affari locali, dell’Istruzione e delle Dogane. Razziati anche gli uffici di UNICEF e di altre organizzazioni internazionali.
La sete di potere non guarda in faccia alla popolazione. Nessuna tregua tra le forze armate sudanesi, leali al presidente del Consiglio sovrano, Abdel Fattah al-Burhan da un lato, e Rapid Suport Forces (RSF), comandate dal vice-presidente, Mohamed Hamdan Dagalo più conosciuto con il soprannome di Hemetti.
Entrambe le fazioni hanno affermato oggi di aver guadagnato terreno, mentre l’inviato delle Nazioni Unite in Sudan, Volker Pethers, ha precisato che per il momento le due parti non hanno mostrato segni di volersi sedere al tavolo delle trattative.
Pethers ha aggiunto che a Khartoum e nel resto del Paese sono morte 185 persone durante i combattimenti ed attacchi aerei, almeno 1.800 i feriti. La loro sfrenata lotta per il potere ha fatto deragliare il passaggio verso un governo civile e ora c’è il timore di un conflitto più ampio.
L’IGAD – l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo – ha dichiarato che i presidenti del Kenya, William Ruto, del Sud Sudan, Salva Kiir, e del Gibuti Omar Guelleh, si recheranno a Khartoum per cercare di mediare un cessate il fuoco immediato. Peccato però che al momenti tutti gli aeroporti del Paese siano chiusi.
In un comunicato di questa mattina, il ministero degli Esteri sudanese ha fatto sapere che il generale Abdel Fattah al-Burhan, comandante dell’esercito sudanese e capo di Stato de facto, ha dichiarato le RSF un’entità ribelle che combatte lo Stato e ne ha ordinato lo scioglimento.
Gli RSF sono gruppo paramilitare sudanese formato in gran parte dagli ex janjaweed, i famigerati terroristi arabi soprannominati “diavoli a cavallo” famosi perché in Darfur attaccavano i villaggi africani, ammazzavano gli uomini stupravano le donne e rapivano i bambini.
Le radici dei janjaweed – attuali RSF – risalgono al 2003, quando Hemetti fu reclutato da un suo parente, Musa Hilal, come comandante di una milizia tribale, arruolata dal regime di al-Bashir per combattere la ribellione in Darfur.
Dagalo, il comandante spietato dei janjaweed, è diventato poi un rivale del suo benefattore, Hilal. Quando quest’ultimo ha interrotto i rapporti con il regime nel 2013, l’ex dittatore Omar al-Bashir ha praticamente cambiato nome ai janjaweed, una milizia tribale, formando per decreto un gruppo paramilitare, le RSF appunto, e nominando Hemetti come leader.
Non va dimenticato che nel 2015 le forze sudanesi – tra queste anche le RSF, con il maggior numero di uomini – hanno raggiunto la coalizione, guidata dall’Arabia Saudita, nella guerra in Yemen.
L’ufficiale di collegamento delle forze sudanesi in Yemen era il generale Abdel Fattah al-Burhan, che per anni aveva lavorato a stretto contatto con Hemetti anche in Darfur. Oggi al-Burhan è il capo di Stato maggiore dell’esercito sudanese, nonchè presidente del Consiglio sovrano e capo di Stato del Sudan.
Nel 2017 il regime dell’ex dittatore ha fatto approvare una legge per rendere le RSF una componente formale dell’esercito, ma sotto il diretto comando di al-Bashir, che gli ha anche concesso basi a Khartoum, giacché la sua fiducia nell’esercito regolare stava diminuendo. Infatti, il dissenso nei confronti del despota era in forte crescita anche a causa della galoppante corruzione.
Da quel momento in poi, Hemetti ha iniziato a accumulare sempre più potere e ricchezza, diventando, secondo molti, l’uomo più ricco del Sudan.
Aggiornamento:
Ora vengono presi di mira anche gli occidentali. Antony Blinken, segretario di Stato statunitense, ha riferito che ieri un convoglio diplomatico di Washington è stato colpito da un razzo. I veicoli hanno preso fuoco ma gli occupanti sino riusciti a scappare tra le fiamme e, per fortuna, nessuno è rimasto ferito.
Mentre nel pomeriggio di lunedì è stato attaccato l’ambasciatore dell’Unione europea, l’irlandese Aidan O’Hara, è stato assalito nella propria residenza a Khartoum.
“O’Hara non ha riportato lesioni importanti”, ha confermato il ministro degli Esteri irlandese Micheál Martin, ma ha sottolineato che si tratta di una grave violazione degli obblighi di protezione dei diplomatici.
Abdel Fattah al-Burhan ha dichiarato a Sky News di essere aperto a una mediazione perché “ogni guerra finisce al tavolo dei negoziati anche se l’avversario viene sconfitto”.
In un tweet di pochi minuti fa, Hemetti fa sapere di aver avuto un colloquio telefonico con Blinken, durante il quale ha ribadito l’approvazione di un accordo per una tregua temporanea che permetta il passaggio dei soccorsi ai civili.
Africa ExPress
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