Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
9 aprile 2023
E nemmeno stavolta è stato siglato il tanto atteso e sospirato accodo per rilanciare la transizione democratica in Sudan. Un accordo quadro è stato firmato all’inizio di dicembre dello scorso anno tra i militari al potere e alcuni gruppi civili. Ovviamente sono seguiti altri confronti e dialoghi, ma finora nulla di fatto.
Il Paese vive una profonda crisi dopo il colpo di Stato del 2021, guidato dal generale Abdel Fattah Burhan, che ha rovesciato il governo sostenuto dall’Occidente, che ha seguito tre decenni di governo islamista del regime di Omar al-Bashir.
Freedom and Change (FFC) – la coalizione che comprende Sudanese Professional Association e partiti all’opposizione – ha fatto sapere mercoledì sera che la cerimonia per la firma, prevista per giovedì scorso, è nuovamente saltata perché alcuni punti per la ristrutturazione delle forze armate devono ancora essere chiariti.
Dopo l’annuncio del nuovo rinvio, la popolazione è scesa nuovamente nelle strade e nelle piazze in tutto il Paese per nuove proteste pacifiche. La gente chiede “libertà, pace e giustizia”.
Giovedì in tutte le città del Sudan si sono svolte dimostrazioni affollatissime. Forse le più imponenti dall’inizio della crisi. La gente ha voluto anche celebrare il quarto anniversario del sit-in del 2019 che ha portato al rovesciamento del dittatore Omar al-Bashir.
Secondo alcuni analisti, il punto critico delle riforme proposte è l’integrazione nell’esercito regolare di Rapid Support Forces (Rsf), un potente gruppo paramilitare guidato dal vice di al-Burhan, Mohamed Hamdan Dagalo.
Il leader delle RSF, meglio conosciuto come Hemeti, è un ex capo dei janjaweed, diventati famosi per le atrocità commesse in Darfur. Si tratta dei famosi diavoli a cavallo che bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi.
Sembra, sempre secondo alcuni analisti, che al-Burhan e il suo vice, Dagalo, siano arrivati quasi ai ferri corti per quanto riguarda il calendario dell’integrazione dei miliziani delle RSF.
In base a una bozza dell’accordo ottenuta dall’agenzia di stampa The Associated Press, i militari dovrebbero concentrarsi solamente a azioni a loro consone e prevede, inoltre, la formazione di un esercito nazionale unificato e non di parte.
Le tensioni tra l’esercito e le RSF sarebbero soprattutto dovute alla tempistica proposta per l’integrazione degli uomini di Hemeti nell’esercito, che ha proposto una durata di due anni. Mentre Rsf sostiene che sono necessari 10 anni e che la ristrutturazione dovrebbe includere anche una riforma interna all’esercito.
Ma è in discussione anche la leadership ad interim dei militari. Dagalo vorrebbe che il prossimo capo di Stato civile, secondo l’accordo, sia incluso in un consiglio congiunto di generali dell’esercito e di Rapid Support Forces.
Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio sovrano, ha dichiarato che un rinvio è stato necessario perché l’accordo abbia basi solide. Mentre il suo vice, Dagalo, in un altro comunicato ha fatto sapere che si sta impegnando per arrivare a un accordo finale.
Ma la folla scesa nelle strade giovedì non vuole militari al potere e durante la marcia di protesta ha cantato: “No militia can rule a country” (nessuna milizia può governare un Paese).
Il leader di FFC, Khalid Omer Yousif, è convinto che elementi del deposto regime di al-Bashir stiano tentando di far deragliare il processo politico, seminando discordia tra le istituzioni militari.
Alcuni leader tribali hanno detto di sentirsi esclusi dall’accordo previsto e hanno minacciato di bloccare le strade verso Khartoum e nel Sudan orientale. Giacché i gruppi ribelli, che hanno sostenuto il colpo di Stato perpetrato da al-Burhan, hanno avvertito che ci sarà il caos qualora l’accordo dovesse andare in porto.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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