Costantino Muscau
Nairobi, 20 gennaio 2023
La ricchezza patrimoniale complessiva di 4 kenyani (e delle loro società) ammonta a 333 miliardi di scellini, circa 2.71 miliardi di dollari.
È l’equivalente di quanto posseggono 22 milioni dei circa 53 milioni di abitanti del Paese, dove la soglia di sopravvivenza è inferiore ai 2 dollari al giorno e il 95 per cento dei poveri non ha assistenza sanitaria.
I cittadini con una ricchezza superiore al milione di dollari sono passati da 2605 nel 2016 a 3362 nel 2021. Quelli con oltre 30 milioni di dollari da 78 a 88 nel 2022 e con la prospettiva di raggiungere quota 100 nel 2026.
Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri, si usa dire. Soprattutto dopo i due anni di pandemia universale. Il Kenya non fa eccezione, nonostante il turismo quest’anno sia ripreso alla grandissima.
E a dispetto della sfolgorante immagine della capitale, dove è in atto una speculazione edilizia selvaggia che lascia senza respiro. Palazzoni in vetro cemento, spaventosi alveari, eleganti lussuosi condomini spuntano come banani. Appena 8 mesi fa è stata inaugurata una mostruosa autostrada in città di 27 km costruita con i cinesi e costata 650 miliardi di dollari.
Eppure non lascia dubbi il report di “Oxfam”, l’organizzazione internazionale che combatte le diseguaglianze, reso noto mercoledì scorso ai margini dell’annuale World Economic Forum in Davos, in Svizzera.
La ricerca di “Oxfam” è stata condotta con altre tre organizzazioni impegnate a ridurre le sperequazioni sociali: “Patriotic Millionaires”, “Institute for Policy Studies” e “Fight Inequality Alliance”, utilizzando elementi forniti da Forbes e Wealth X.
Oxfam non cita i fabulous four, cioè I 4 tycoon kenyani, ma in un report di un anno fa li aveva identificati in Samir Naushad Merali (deceduto 2 anni fa), Bhimji Depar Shah (91 anni di Mombasa), Jaswinder Singh Bedi e l’ex presidente della Repubblica, Uhuru Kenyatta (con famiglia).
In una lettera resa pubblica a Davos dai 200 Paperoni di 13 Stati aderenti a “Patriotic Millionaires”, di cui fanno parte anche l’attore Mark Ruffalo, 52 anni, l’erede di Disney e filantropa, Abigail Disney, 62 anni, si legge:” Di fronte al crescente divario fra individui e corporations multimilionari e multimiliardari e la massa delle popolazioni e una ricchezza estrema di pochi, rispetto alla povertà di molti che ci sta mangiando vivi, c’è una sola strada: tassare i ricchi”.
Per quanto riguarda il Kenya, se si tassassero del 2 per cento i patrimoni sopra i 615 milioni di scellini e del 3 per cento quelli sopra i 6,15 miliardi di scellini, le entrate fiscali potrebbero raggiungere quasi 90 miliardi annui di scellini (730 milioni di dollari l’anno).
Una cifra che consentirebbe di aumentare, ad esempio, gli investimenti per l’istruzione del 14 per cento e per la salute del 34 per cento.
“Sulla carta, in realtà”, scrive Oxfam , “la tax policy del Kenya (con il 30 per cento di imposizione fiscale), è una delle più progressiste al mondo, all’11 posto su 116 Paesi, ma è fallimentare quando si tratta di colpire i danarosi.
Con tanti lavoratori precari, senza diritti, mal pagati, sfruttati, con un salario minimo che è un salario di povertà perché non consente di vivere, i ricchi diventano più ricchi. E dunque tempo di tassare i multimilionari, individui o società, non di ridurre loro le tasse”.
Lo ha ribadito con forza, a Davos, e ieri anche sul Guardian, il facoltoso uomo d’affari inglese, Phil White, ingegnere che fa parte, del club “Milionari Patriottici”.
Intervistato qualche giorno fa dall’AFP, aveva dichiarato: “La gente comune sta soffrendo per i prezzi del cibo e dell’energia saliti alle stelle, i governi dovrebbero ridurre le diseguaglianze imponendo tasse sui grandi patrimoni privati o societari. È allarmante il divario tra la gente comune e il livello di ricchezza accumulato dalle società energetiche e alimentari, che hanno raddoppiato i profitti. Io sono contento di pagare più tasse e voglio che il mio governo tassi la gente come me. Il nostro gruppo ha come slogan ‘uniti in un mondo frammentato’. Ma è la troppa ricchezza che sta frammentando il mondo. Si potrebbe cominciare con imporre 1 o 2 per cento l’anno sulle fortune di 4/5 milioni di dollari”.
Secondo l’ingegnere inglese, lo strumento fiscale sarebbe più utile anche della filantropia praticata da personaggi come Mark Zuckerberg, Warren Buffett e Bill Gates. “Certo, il loro impegno è nella giusta direzione, ma non risolve alla radice il problema della povertà e delle ingiustizie sociali. Vorrei che questi personaggi si battessero per una imposizione fiscale più equa e per investimenti nel tessuto sociale”.
In Kenya il corso intrapreso dal nuovo presidente William Ruto sembra lastricato di buone intenzioni, anche se il Paese è oberato da un altissimo debito publico e non sarà facile ridurre sprechi, corruzione, disuguaglianze e squilibri sociali.
Era l’ottobre del 2018 quando “Il portale degli italiani”, organo di informazione di Malindi, per i nostro numerosi connazionali, scriveva: “Il Kenya è tra le prime 10 nazioni del mondo che creano milionari. Parte dei nuovi ricconi sono politici, o legati al mondo delle tecnologie e della comunicazione. Ma in Kenya un povero guadagna in un giorno quello che un concittadino milionario guadagna in circa 2 secondi, anche mentre dorme”. La situazione dopo pochi anni non è migliorata. Anzi…
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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