Michael Backbone
Nairobi, 26 dicembre 2022
La recente decisione degli Stati Uniti di garantire l’immunità al Principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman, responsabile dell’ignobile omicidio del dissidente e commentatore del Washington Post, Jamal Khashoggi, ha sconcertato la comunità internazionale.
Il Principe è stato riconosciuto dalla CIA come mandante dell’efferato assassinio avvenuto nei locali del consolato del regno a Istanbul. Con la concessione dell’immunità gli Stati Uniti hanno deciso di rinunciare ai loro principi sulla difesa dei diritti umani e abbracciare incondizionatamente la strategia negoziale: immunità al principe assassino come contropartita a un atteggiamento di maggior sostegno ad altre cause caldeggiate dall’amministrazione americana.
Poco tempo fa l’Arabia Saudita non ha appoggiato la proposta USA di aumentare la produzione di greggio per potere riequilibrare gli squilibri causati dalla guerra in Ucraina.
L’anomalo indulto concesso ora al principe saudita, formalmente agevolato da un volgare accorgimento amministrativo, la sua nomina a primo ministro. Uno stratagemma che sembra andare dritto nella direzione di ristabilire un clima amichevole di basso profilo morale ma ovviamente di importante rilevanza geostrategica.
Obiettivo, secondo molti media americani e non solo: ristabilire un’influenza allargata americana egemone sui mercati delle materie prime, barattando la vita di un giornalista contro il prezzo del barile di greggio.
La stessa elevazione ben congegnata di Mohammed Ben Salman al ruolo di primo ministro dell’Arabia Saudita (carica per altro non presente nell’organizzazione politica del regno wahabita), probabilmente suggerito dalla stessa amministrazione USA, è in sé un vergognoso cencio amministrativo che ha come risultato il regalare immunità (e impunità) al principe arabo, che ora è così salvato da qualsiasi procedimento giudiziario, nel caso specifico quello di rito civile iniziato dal dipartimento di Giustizia americano per l’omicidio Khashoggi.
La consuetudine secondo cui i titolari di posizioni governative di primo piano godono di immunità civile e penale, nel caso di Bin Salman sono perverse: la gestione secolare del potere in Arabia da parte della stessa famiglia regnante solitamente opera in maniera vitalizia. il Principe può dunque dormire sonni tranquilli poiché’ il suo incarico a vita potrebbe solo essere interrotto da un colpo di Stato, una possibilità ben remota a quelle latitudini.
A fronte di questi volgari accordi di convenienza che si possono definire come cortesie politiche tra Stati in dispregio della giustizia e dei diritti umani, non si può che esprimere disgusto e ripugnanza: le conseguenze di una decisione simile da parte americana avrebbero dovuto essere meglio ponderate, perché il precedente che sostanzialmente “lava” il mandante Saudita, potrebbe essere utilizzato un domani non troppo lontano da un tiranno sovietico odierno per farsi beffe dal giudizio della Comunità Internazionale nel momento in cui i crimini di una guerra provocata siano messi al vaglio di entità sovranazionali, impoverendo così facendo, l’autorevolezza di sedi deputate a questo scopo.
Il diavolo sembra non essere riuscito a fare il coperchio a questa bella pentola politica, perché un altro esercizio di acrobazia amministrativa potrebbe rivelarsi necessario, semplicemente perché la carica di Primo Ministro non è contemplata nell’ordinamento delle gerarchie del potere Saudita, chissà che questo non sia un elemento al quale le organizzazioni di tutela dei diritti umani possano appellarsi, nell’interesse non solo di ristabilire un principio di diritto internazionale ma anche per divenire un caposaldo/punto fermo nel giudizio futuro di azioni commesse o commissionate da capi di Stato di altri Paesi, per esempio la Russia di Putin.
Il motivo di maggiore imbarazzo per gli Stati Uniti rimane l’essere colluso nella creazione delle condizioni per il perdono di un leader di un Paese ritenuto “amico” offrendo sponda giuridica e pretesto diretto al nemico “storico” russo che si infilerebbe sicuramente in questo insperato cunicolo per farsi beffe della giustizia internazionale degli Stati di diritto il momento in cui si spera gli verrà chiesto conto delle sue scelte efferate.
Michael Backbome
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Non ho parole, non lo sapevo proprio
Da noi i giornali parlano poco di questo fatti, molto al momento in cui avvengono, poi l' oblio, voluto o imposto.