Luciano Bertozzi
Dicembre 2022
La Glencore, multinazionale anglo-svizzera con sede a Baar (Svizzera), ha raggiunto un accordo con le autorità della Repubblica democratica del Congo per il pagamento di 180 milioni di dollari di risarcimento, che “copre tutte le rivendicazioni presenti e future derivanti da presunti atti di corruzione da parte del gruppo”, dal 2007 al 2018.
Ciò include le attività in alcuni business del gruppo che sono stati oggetto di varie indagini da parte, tra gli altri, del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (“DOJ”) e della National Financial Intelligence Unit e del Ministero della Giustizia della RDC. Il valore delle azioni quotate alla borsa di Londra non ne ha risentito, infatti, è cresciuto.
“Glencore è un investitore di lunga data nel Congo-K – ha affermato il presidente del gruppo Kalidas Madhavpeddi in un comunicato – ed è lieta di aver stipulato questo accordo per affrontare le conseguenze della sua condotta passata”.
Il n.1 della Società ha anche assicurato l’impegno a lavorare con le autorità e altre parti interessate per una buona governance e pratiche commerciali etiche ed ha anche evidenziato che oggi la società ha un consiglio di amministrazione e un gruppo dirigente rinnovati.
La multinazionale produce o commercializza 90 materie prime, con oltre 135.000 dipendenti operanti in più di 35 Paesi e con un fatturato 2017 di oltre cento miliardi di dollari.
Nella RDC possiede in particolare la miniera di cobalto di Mutanda, dalla quale si estrae un quarto dell’intera produzione mondiale del minerale, di cui il Paese è il primo produttore globale, ed è proprietaria del 75 per cento della Kamoto Copper Company (Kcc), una joint venture con grande progetto per l’estrazione di rame e cobalto, con la congolese Gecamines (20%) e l’australiana Simco (5%), per l’estrazione del rame oltre che del cobalto.
Anche le miniere di rame congolesi di Mutanda e Katanga contribuiscono ai grandi profitti della Società
Le accuse di corruzione nei confronti di Glencore non interessano solo l’ex colonia belga, ma anche altre nazioni africane e sudamericane (Brasile e Venezuela), per le quali il colosso svizzero è finito sotto inchiesta da parte delle autorità statunitensi, britanniche e brasiliane.
A maggio, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha affermato che Glencore aveva ammesso di aver cospirato per pagare circa 27,5 milioni di dollari a terzi per assicurarsi “vantaggi commerciali impropri” in Congo-K.
La multinazionale non è nuova ad episodi simili. Nel maggio scorso – secondo la tv svizzera – ha dovuto pagare 700,7 milioni di dollari al Dipartimento della Giustizia USA e 485,6 al Commodity Futures Trading Commission (Autorità di sorveglianza dei mercati delle materie prime) per aver manipolato i prezzi dell’olio combustibile negli Stati Uniti.
Altri 40 milioni di dollari saranno pagati al Brasile per la corruzione connessa a Petrobras (Petróleo Brasileiro, società petrolifera locale). Anche in questo caso, però, le sanzioni, non hanno influenzato negativamente l’andamento del titolo, in quanto l’accordo elimina incertezze sul futuro della società.
Un tribunale inglese a novembre di quest’anno ha condannato la multinazionale al pagamento di 182,9 milioni di sterline per tangenti, inoltre sono state confiscate 93,5 milioni di sterline, denaro ottenuti illecitamente.
Glencore ha infatti amesso di aver pagato mazzette per 28 milioni di dollari a funzionari di Camerun, Nigeria, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale e Sudan del Sud, in cambio di contratti petroliferi molto vantaggiosi.
In questo modo, Paesi fra i più poveri del mondo si sono visti depredati delle loro ricchezze e senza che governi corrotti ne paghino le conseguenze.
La società, comunque, ha dichiarato di aver fatto pulizia al suo interno e di non essere più quella di una volta quando avvenivano pratiche “inaccettabili”.
Da anni la multinazionale è al centro di diversi scandali, non solo tangenti, ma anche disastri ambientali e violazioni dei diritti umani.
Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it
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