Alberto Spampinato
Roma, 9 dicembre 2022
L’uso scorretto del sistema giudiziario (ovvero della legge, dei codici e delle corti civili e penali) per limitare la libertà di espressione e di stampa, non è un fenomeno soltanto dell’Italia. E’ un problema presente a livello mondiale e negli ultimi anni ha guadagnato terreno, grazie al silenzio e all’indifferenza generale. Lo dice una nuova ricerca dell’UNESCO, pubblicata in italiano dall’osservatorio Ossigeno per l’Informazione (leggi il documento).
Di cosa parla? Di un triste fenomeno che in Italia conosciamo bene. Da noi, fra l’altro, questo “uso scorretto” (misuse) consente che ogni anno, sebbene le accuse siano infondate, pretestuose, temerarie, almeno cinquemila querele e citazioni civili per danni da diffamazione a mezzo stampa si trasformino in strumenti intimidatori, dando vita a processi lunghi e costosi che mettono in difficoltà giornali e giornalisti che hanno correttamente esercitato la loro attività.
Questi processi si aggiungono alle migliaia di minacce e intimidazioni rivolte in altre forme, di solito violente, ai giornalisti, ai blogger, ad altri operatori dell’informazione e ai difensori dei diritti umani.
L’ osservatorio di Ossigeno per l’Informazione ha documentato pubblicamente oltre seimila intimidazioni di questo tipo negli ultimi dieci anni. Dunque noi di Ossigeno sappiamo bene di cosa si tratta. Ma non sapevamo ancora come vanno queste cose nel resto del mondo.
Vanno molto male, ci dice ora questa ricerca dell’Unesco, che indica la strumentalizzazione della giustizia da parte di chi teme la verità dei fatti come lo strumento più usato ovunque negli ultimi anni per comprimere la libertà di espressione, quel diritto fondamentale che consente ai giornalisti di pubblicare le notizie sgradite al potere e a chiunque di esprimere opinioni e critiche senza subire ritorsioni.
Da solo, questo dato impressionante dovrebbe spingere chi ancora non l’ha fatto (nel mondo politico, sindacale dell’informazione, nel parlamento e nei partiti) ad aprire gli occhi e a impegnarsi a cercare modi meno retorici di quelli finora adoperati per affrontare questo problema che ha le dimensioni di un flagello, che produce effetti molto gravi: quelli di una censura impropria, non dichiarata ma molto efficace.
Questa è la parola più adatta per definire un fenomeno che permette di mettere in difficoltà i giornalisti e i dissidenti, anche nei paesi democratici, anche chi è innocente ed è costretto a dimostrarlo in un tribunale, a difendersi da accuse di presunta diffamazione, violazione della privacy o di rivelazione di questo o quel segreto.
Quale altra parola si potrebbe usare per un sistema in cui la giustizia funziona così, in cui un giudice può infliggere a un giornalista pene che gli impediscono di proseguire la sua attività?
Altri aspetti di questa ricerca dell’UNESCO aiutano a inquadrare meglio anche la situazione italiana.
Parliamo del sistema legislativo. Nel mondo, in 44 paesi, negli ultimi cinque anni anno proliferato nuove leggi (la ricerca ne conta 57) che non hanno tenuto conto, come e quanto avrebbero dovuto dell’obbligo di tutelare il diritto di informazione, ad esempio configurando la diffamazione come un reato e punendolo addirittura con il carcere, o trascurando le prerogative dei giornalisti, o limitando l’autonomia dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani codificata come un diritto dai massimi trattati internazionali.
Nell’Europa centrale e orientale è aumentato il ricorso alla legge penale per punire la diffamazione, che è un reato in 15 dei 25 stati della regione, e nella maggior parte di essi prevede sanzioni detentive.
Dieci Paesi hanno abolito tutte le disposizioni generali contro la diffamazione e l’insulto e altri quattro hanno attuato una parziale depenalizzazione.
Sono rimaste in vigore leggi punitive verso chi esprime legittime critiche al potere e ai potenti e si sono diffuse – in numero sempre maggiore e in ogni paese, dice l’UNESCO – le citazioni per danni e le querele temerarie utilizzate come “schiaffi” (SLAPP) per scoraggiare chi pubblica notizie scomode e opinioni sgradite.
Il bilancio degli ultimi dieci anni, conclude amaramente la ricerca dell’UNESCO, è insoddisfacente, ma il terreno perduto si può ancora recuperare. Come? Giornali, giornalisti, editori, difensori dei diritti devono fare meglio la loro parte.
In ogni Paese governi, forze politiche, legislatori devono accogliere e attuare le raccomandazioni loro rivolte dalle organizzazioni internazionali e richiamate in questa ricerca, innanzitutto depenalizzando la diffamazione a mezzo stampa: questa scelta fondamentale in Italia è tabù, nessuno ha finora ha voluto proporla nel nostro paese. Ma bisognerà discuterne.
Cha dire quando un’autorevole fonte qual è l’Unesco ci spiega che i problemi italiani da tempo documentati da Ossigeno, che hanno conferito all’Italia il titolo poco onorevole di paese europeo con più giornalisti minacciati e sotto scorta, sono gli stessi di molti altri paesi che finora non hanno voluto ammetterlo? E’ un incoraggiamento a continuare a osservare e documentare ciò che accade in Italia e ad aiutare, assistere e soccorrere coloro che subiscono le conseguenze più brutali di una legislazione ingiusta e incompleta, soprattutto le vittime più deboli. ASP
Alberto Spampinato
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