Cornelia I. Toelgyes
13 novembre 2022
Ieri sera, Berhanu Jula, capo di Stato maggiore delle forze armate etiopiche (ENDF), e il Generale Tadesse Worede, comandante in capo delle forze “ribelli” in Tigray, hanno firmato un nuovo trattato, sotto l’egidia dell’Unione Africana. In poche parole si tratta di una tabella di marcia per l’attuazione dell’accordo del cessate il fuoco che le due parti hanno raggiunto in Sudafrica.
Pochi giorni dopo l’accordo siglato a Pretoria il 2 novembre scorso dal governo etiopico, rappresentato da Redwan Hussein, e forze del Tigray, guidate dal capo delegazione, Getachew Reda, i capi militari delle due fazioni in causa si sono riuniti a Nairobi, Kenya.
La dichiarazione di sabato dovrebbe dare impulso agli sforzi dei mediatori dell’Unione Africana per porre fine all’atroce conflitto iniziato due anni fa. Una guerra che ha praticamente tagliato fuori il Tigray dal resto del mondo e dove ora la popolazione civile è in preda a una terribile crisi umanitaria.
Le parti hanno inoltre concordato di permettere l’accesso umanitario senza ostacoli a tutti coloro che necessitano di assistenza nel Tigray e nelle regioni limitrofe. Olusegun Obasanjo, ex presidente nigeriano, nonché alto rappresentante dell’Unione Africana per il Corno d’Africa, presente ai colloqui di Nairobi e supportato come a Pretoria, dal suo omologo, Uhuru Kenyatta e da Phumzile Mlambo-Ngcuka, ex vicepresidente del Sudafrica, ha precisato che il nuovo accordo avrà effetto immediato.
I mediatori hanno inoltre specificato che il trattato fornirà garanzie di sicurezza agli operatori umanitari, assicurerà la protezione dei civili e istituirà un comitato congiunto per supervisionare l’attuazione. E Kenyatta ha aggiunto: “Questo accordo e la sua immediata attuazione rappresentano l’unico modo per far tacere le armi”.
Entrambe le parti in causa hanno aggiunto di essersi impegnate a rispettare la nuova dichiarazione, sottolineando che questo è l’unico modo per ripristinare pace e stabilità.
Ufficiali dell’esercito etiopico e del TPLF (Tigray People’s Liberation Front) hanno raggiunto anche un’intesa sul disarmo dei combattenti del TPLF, che dovrebbe entrare in vigore il 15 novembre 2022, e sull’ingresso dell’esercito etiopico a Makellè.
L’accordo di Nairobi prevede che tutte le truppe non appartenenti a ENFD lascino il Tigray. Tecnicamente include anche quelle eritree, le forze dell’ Amhara e le milizie Afar.
Secondo alcuni analisti preoccupa ora la posizione dell’Eritrea, giacché le truppe del regime di Asmara hanno combattuto accanto a quelle di Addis Abeba. Va precisato che nessun rappresentante della dittatura ha partecipato ai colloqui di Pretoria e tantomeno a quelli di Nairobi.
I combattimenti in Tigray sono ripresi il 24 agosto dopo una tregua di cinque mesi. La regione è isolata dal resto del Paese, gran parte è priva di elettricità; reti di telecomunicazioni, servizi bancari sono stati interrotti, inoltre manca il carburante. Anche l’arrivo di aiuti umanitari su strada e per via aerea è stata completamente interrotto dalla ripresa delle ostilità.
La situazione attuale è tragica, la popolazione è allo stremo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), quasi il 90 per cento dei tigrini necessita di aiuti alimentari e quasi un terzo dei bambini sotto i cinque anni è affetto da malnutrizione.
Gli sfollati sono oltre 2 milioni, centinaia di migliaia sono sull’orlo della carestia. E, secondo i ricercatori dell’Università di Ghent, Belgio, durante i due anni di conflitto sarebbero morte 600.000 persone.
Durante i due anni di guerra sono state commesse gravissime violazioni dei diritti umani e del diritto bellico da tutte le parti in causa, compresa l’Eritrea.
Cornelia I. Toelgyes
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