27 ottobre 2022
La Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) ha lanciato in questi giorni una campagna in sostegno alla giovane sudanese Amal (uno pseudonimo, giacché Intisar Abdala, l’avvocato della 20enne ha chiesto di mantenere l’anonimato per la sua cliente), condannata a morte per lapidazione.
La sentenza contro Amal è stata emessa il 26 giugno scorso da un tribunale di Kosti, città a sud di Khartum, situata sulla sponda ovest del Nilo Bianco, perché ritenuta colpevole di adulterio.
La ragazza è separata dal marito dal 2020 ed è ritornata a vivere con i genitori, persone semplici, agricoltori molto religiosi, che non hanno mai abbandonato la figlia. Un anno dopo il marito l’ha denunciata per infedeltà.
Gli avvocati hanno fatto subito appello e impugnato la sentenza emessa dal tribunale di primo grado. La Corte ha già ascoltato le parti, ora si attende la decisione dei magistrati.
Non si esclude e si spera che la sentenza di primo grado possa essere ribaltata, ma la condanna stessa, emessa dal tribunale di Kosti a giugno, dimostra un ritorno alle forme di repressione orchestrate dal regime di Omar al-Bashir, ex presidente del Sudan defenestrato dai militari nell’aprile 2019.
Malgrado la caduta del regime islamista nel 2019, il codice penale del 1991 è in vigore a tutt’oggi ed è particolarmente rigido nei confronti delle donne. Un avvocato che condanna la crescente criminalizzazione contro le donne, ha sottolineato che le prigioni femminili si riempiono a vista d’occhio da alcuni mesi.
FIDH è nata nel lontano 1922 e oggi raggruppa 164 organizzazioni nazionali di difesa dei diritti umani in oltre 100 Paesi.
Victoire d’Humières, responsabile per l’ufficio dell’Africa di FIDH ha spiegato che l’organizzazione e i suoi partner hanno lanciato una petizione contro la condanna a morte di Amal.
Sebbene in 30 anni nessuna delle sette sentenze simili emesse dai tribunali sudanesi sia stata applicata, ogni volta è stata necessaria una forte pressione a livello internazionale per ribaltare la decisione della Corte.
Anche le organizzazioni per i diritti delle donne in Sudan hanno chiesto alle autorità di Khartoum di annullare la sentenza, che costituisce una “punizione crudele, inumana e degradante”, e di garantire il rilascio immediato e incondizionato della giovane donna sudanese, detenuta da giugno.
Mohamed Ali, direttore esecutivo del Centro africano per gli studi sulla giustizia e la pace (ACJPS), non esclude che la polizia abbia costretto la giovane a firmare una confessione. Ali ha poi aggiunto: “Nel 2021 il Sudan ha firmato la Convenzione dell’ONU contro la tortura e la lapidazione è una delle peggiori forme di supplizio”.
Molti attivisti hanno denunciato che un gran numero di sostenitori del regime di al-Bashir sono stati riabilitati nell’ultimo anno, alcuni sono stati rilasciati dal carcere, altri sono tornati dall’esilio. Alcuni di loro sono persino stati reinseriti nell’amministrazione pubblica, nei posti di lavoro che occupavano prima della caduta del dittatore.
“E questo dimostra che il regime di Omar al-Bashir non è mai veramente caduto. Non è cambiato nulla”, afferma Hala al-Karib, presidente della Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (Siha), un’organizzazione per i diritti delle donne.
I segnali negativi nel Paese si moltiplicano. Oltre alla condanna a morte di questa giovane donna a giugno, ad agosto le autorità hanno annunciato la creazione di unità di “polizia comunitaria”.
Il loro mandato rimane vago, ma ricorda le leggi promulgate durante il regime di al-Bashir. Per 30 anni, le “leggi sull’ordine pubblico” hanno criminalizzato l’abbigliamento e le pratiche ritenute “indecenti”. Allora molte donne avevano subito condanne come frustate pubbliche e altre gravissime umiliazioni.
In questi giorni i colleghi di anbamed (testata giornalistica online con sede a Palermo) hanno lanciato un appello all’Ambasciata del Sudan a Roma contro la condanna a morte per lapidazione di Amal. Noi di Africa ExPress abbiamo aderito all’iniziativa, e voi, cari lettori?
Oggetto: Appello per salvare la vita della giovanissima Amal, condannata alla lapidazione in Sudan.
Gentile Ambasciatore,
ci rivolgiamo a lei per sollecitare la sua sensibilità ad intervenire presso le autorità competenti del suo Paese, in modo di bloccare la sentenza alla pena capitale per lapidazione contro la ragazza 20enne, Amal (Non riveliamo il nome anagrafico, per rispetto della privacy). Amal è stata condannata, senza il rispetto dei suoi diritti ad un legale difensore, previsti dalla legge sudanese; durante l’interrogatorio nel commissariato di polizia, non le sono state fornite le informazioni necessarie sui suoi diritti prima di rispondere.
Noi consideriamo la pena capitale un assassinio di Stato e la lapidazione è il più odioso: un metodo disumano, anacronistico e crudele. Applicarla soltanto alle donne e mai ai maschi è un atto discriminatorio, in piena violazione delle leggi internazionali che il Sudan ha sottoscritto.
La sentenza del tribunale di Kosti, del 26 giugno 2022, va rivista e annullata e questo passo richiede un atto coraggioso, di volontà politica e giuridica, da parte delle autorità istituzionali, anche in questa fase difficile che vive il suo Paese.
Le chiediamo di trasmettere, al suo governo, questo nostro sentimento di rifiuto di sacrificare una giovane vita umana, quella appunto di Amal, in osservanza di cavilli burocratici e norme a dir poco sadiche.
Libertà per Amal! No alla lapidazione! Salviamo la vita di Amal!
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L’appello va indirizzato a info@sudanembassy.it
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Freedom!!!!
For all the women
No.alla lapidazione