Francesca Piana
Milano, 15 ottobre 2022
Il libro di Stefania Maurizi, “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks”, (Chiarelettere ed. 2021) è talmente denso di contenuto e approfondito che quella che segue più che essere una recensione è un collage di parti del testo, citate tra virgolette (e assemblate a mia discrezione), che ho ritenuto più eloquenti.
La selezione è stata difficilissima. Le citazioni derivano quasi tutte dal libro. Alcune dagli articoli della giornalista pubblicati su “Il Fatto Quotidiano”.
Stefania Maurizi ha dedicato oltre dieci anni di lavoro al libro che è introdotto da Ken Loach, che nella prefazione scrive: “Questo è un libro che dovrebbe farvi arrabbiare moltissimo. È la storia di un giornalista imprigionato e trattato con insostenibile crudeltà per aver rivelato crimini di guerra; della determinazione dei politici inglesi e americani di distruggerlo; e della quieta connivenza dei media in questa mostruosa ingiustizia.” E anche: “Se riteniamo di vivere in una democrazia, dovremmo leggere questo libro.”
Scrive Stefania Maurizi: “Mi ha scioccato la criminalità di Stato documentata dai file. L’impunità di cui godono criminali di guerra e torturatori nelle nostre democrazie…
Mi ha scioccato che whistleblower e giornalisti, che rivelano questa criminalità, non abbiano un posto in cui proteggersi nelle nostre società democratiche. Dal 2010 in poi Assange ha cercato ogni possibile rifugio….
Niente e nessuno ha potuto impedire la distruzione della sua salute fisica e mentale. Né il Quarto potere gli è stato d’aiuto, anzi ha enormi responsabilità… dopo che per un decennio Julian Assange e i suoi colleghi di WikiLeaks hanno colpito duramente il potere segreto, quel potere vuole distruggerli, per colpire loro ma anche per intimidire qualunque altro giornalista, whisteblower e fonte esponga i suoi crimini e le sue corruzioni….
È per questo che ho dedicato oltre dieci anni di lavoro a questo caso… Ho investito così tanto perché voglio usare il mio lavoro giornalistico per contribuire a smascherare come opera il pugno di ferro nel guanto di velluto, in modo che l’opinione pubblica ne sia consapevole e impari a riconoscerlo…
Voglio vivere in una società in cui il potere segreto risponde alla legge e all’opinione pubblica delle sue atrocità. Dove ad andare in galera sono i criminali di guerra e non chi ha la coscienza e il coraggio di denunciarli e i giornalisti che ne rivelano la criminalità. Oggi una società così autenticamente democratica non esiste. E nessuno la creerà per noi. Sta a noi combattere per arrivarci.”
Assange “non è un criminale: è un giornalista. Ha fondato WikiLeaks, un’organizzazione che ha profondamente cambiato l’informazione, sfruttando le risorse della rete e violando in maniera sistematica il segreto di Stato quando questo viene usato non per proteggere la sicurezza e l’incolumità dei cittadini, ma per nascondere i crimini dello Stato, garantire l’impunità agli uomini delle istituzioni che li commettono e impedire all’opinione pubblica di scoprirli e chiederne conto.
Assange e WikiLeaks hanno pubblicato centinaia di migliaia di documenti segreti del Pentagono, della Cia e della Nsa, che hanno fatto emergere massacri di civili, torture, scandali e pressioni politiche.
Queste rivelazioni hanno innescato la furia delle autorità americane, ma in realtà nessun governo al mondo ama Assange e la sua creatura… è per questo che ha contro di sé l’intero complesso militare e d’intelligence degli Stati Uniti e una serie di governi, eserciti, servizi segreti di varie nazioni… l’unica protezione in cui può sperare è quella dell’opinione pubblica mondiale.”
Julian Assange è incarcerato dall’aprile 2019 nella Belmarsh Prison di Londra, la prigione più dura del Regno Unito, in attesa che la giustizia britannica si pronunci sul suo appello contro l’estradizione negli Stati Uniti (vedi intervista a Stefania Maurizi) dove rischia una condanna a 175 anni per aver pubblicato nel 2010 i documenti segreti del governo americano sulle guerre in Afghanistan e in Iraq oltre che sulla diplomazia statunitense, sul lager di Guantanamo e altro.
Nessuno dei criminali e dei torturatori esposti nei documenti di WikiLeaks è stato mai punito mentre dalle rivelazioni del 2010 in poi Assange non ha più conosciuto la libertà (confinato dal 2012 per sette anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove aveva ricevuto asilo politico sotto la presidenza di Rafael Correa, ndr), poi in prigione. Julian Assange sta pagando un prezzo altissimo.”
“Assange lotta contro alcune delle più potenti istituzioni della Terra, che da oltre un decennio lo vogliono uccidere. Le istituzioni includono il Pentagono, la Central Intelligence Agency (Cia), la National Security Agency (Nsa)… La potenza e l’influenza di queste istituzioni si fanno sentire in ogni angolo del pianeta: decidono guerre, colpi di stato, assassini, influenzano elezioni e governi. In modo particolare quello italiano.”
Stefania Maurizi scrive che è stata profondamente colpita dalla: “scelta rivoluzionaria di democratizzare l’accesso alla conoscenza e alle informazioni” del giornalista australiano e dal “coraggio di Assange e di tutti i giornalisti di WikiLeaks”.
Tutte le più grandi organizzazioni per i diritti umani e per la libertà di stampa hanno chiesto e chiedono che Assange non venga estradato e che sia liberato. Lo chiedono anche tutte le persone oneste che si sono interessate al caso.
“Dopo la prima settimana di udienze (prima udienza 24 febbraio 2020), il processo di estradizione sarebbe dovuto riprendere a maggio, ma accadde l’imponderabile. Una pandemia cambiò il mondo…
Non doveva scontare alcuna condanna… eppure Julian Assange rimaneva in prigione, nonostante la pandemia…nonostante per la giustizia inglese fosse tecnicamente innocente…
Nonostante una patologia cronica ai polmoni, una grave depressione e disturbi da stress postraumatico…nonostante il relatore speciale dell’Onu contro la tortura, Nils Melzer, avesse riscontrato tutti i sintomi della tortura psicologica…
Nel tentativo di ottenere che fosse rilasciato, nell’aprile del 2020, Stella Morris rivelò pubblicamente, in un’intervista al “Daily Mail”, di essere la compagna di Julian Assange e che insieme avevano due bambini piccoli, Gabriel e Max. Con la pandemia non potevano più neanche fargli visita in carcere…”
Almeno 5000 persone hanno formato una lunghissima catena umana l’8 ottobre a Londra attorno alla sede del parlamento britannico a Westminster manifestando per la liberazione del giornalista australiano allo slogan di Free Julian Assange.
I manifestanti hanno risposto all’appello di Stella Morris, avvocato, moglie di Assange e madre dei suoi due figli, che lotta per riportare a casa il marito contro l’estradizione negli Stati Uniti dove sarebbe condannato a 175 anni di carcere.
Condannato per aver pubblicato, in collaborazione con alcune delle principali testate del mondo, documenti classificati tra i quali quelli riguardanti i crimini di guerra statunitensi in Afghanistan e in Iraq. Stella Morris ha percorso la catena umana accompagnata dai figli.
Il 15 settembre scorso a Città del Messico sono state date ad Assange le “chiavi della città” ricevute per lui dal padre e dal fratello John e Gabriel Shipton. Nel Paese latinoamericano, che ha una lunga e importante tradizione di accoglienza dei rifugiati politici, le autorità hanno compiuto questo gesto per celebrare il giornalismo di Assange ed esercitare pressione sull’amministrazione del presidente nordamericano Biden affinché lasci cadere il caso di estradizione da Londra del giornalista australiano.
Il presidente messicano Lopez Obrador, AMLO, ha invitato in Messico la famiglia di Assange, insieme ad altre, in occasione della celebrazione dell’Indipendenza del Paese nota come el Grito.
A Milano, invece, a fine maggio scorso il Partito Democratico ha negato la cittadinanza onoraria a Julian Assangee non ha voluto impegnare l’amministrazione a esprimersi contro la sua estradizione dal Regno Unito spaccando la maggioranza in consiglio comunale con le seguenti motivazioni: “Uno Stato deve avere il diritto di secretare delle carte per preservare la democrazia liberale” e aggiungendo: “Non possiamo paragonare Assange con Patrick Zaki, che si batte contro un regime che nega i diritti civili. “Gli Stati Uniti non sono l’Egitto e sono nostri alleati, opporsi all’estradizione può creare problemi” (dall’articolo di Lorenzo Giarelli pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 28-5-22).
Il Tribunale australiano di Canberra ha stabilito che la stampa non ha diritto ai documenti del caso Julian Assange perché, se diventassero pubblici, danneggerebbero le relazioni internazionali dell’Australia, le relazioni con gli Stati Uniti.
Scrive la giornalista Stefania Maurizi nell’articolo pubblicato il 21 settembre scorso su “Il Fatto Quotidiano” relativamente alla decisione: “ha deciso l’Administrative Appeals Tribunal di Canberra in risposta alla nostra battaglia legale per ottenere la documentazione dal Ministero degli Esteri australiano.
Questa sentenza è solo l’ennesimo muro di gomma per impedire al Quarto Potere di scoprire cosa è accaduto dietro le quinte del caso Assange e WikiLeaks. Un caso che deciderà i confini della libertà di stampa nel mondo occidentale e che è costellato da gravi violazioni, come la rivelazione che la Cia guidata da Mike Pompeo aveva pianificato di rapire o uccidere il fondatore di WikiLeaks” – E anche: “chi scrive cerca di ottenerli da ben sette anni con il Foia, lo strumento che consente ai cittadini di consultare la documentazione del governo d’interesse pubblico. Quattro nazioni – il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Australia e la Svezia (dove è stato indagato per stupro, indagine ormai chiusa e che non ha mai portato alla sua incriminazione) – si oppongono al rilascio di questi documenti, costringendoci a una battaglia legale su quattro giurisdizioni, in cui siamo rappresentati da ben sette avvocati.”
Francesca Piana
francescapiana@gmail.com
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Sabato 15 ottobre, a partire dalle ore 18 e fino alle 21, nella sede romana di Left, un incontro per chiedere la liberazione del fondatore di Wikileaks. Tra i presenti: Moni Ovadia, Vauro, Francesca Fornario, Riccardo Noury. L’evento fa parte di una “24 ore non stop” mondiale sul tema a cui parteciperanno anche il filosofo Noam Chomsky e l’avvocata e moglie di Assange Stella Moris.
Per questo invitiamo i nostri lettori e le nostre lettrici, assieme a chiunque desideri approfondire la vicenda di Assange e sostenere la lotta globale per la sua liberazione, a partecipare all’incontro. Sarà possibile seguirlo anche online, attraverso la diretta Facebook sulla pagina di Left.
La “24 ore non stop” italiana per Julian Assange, invece, potrà essere seguita sui canali Youtube di Pressenza Italia e Terra nuova edizioni e sul canale Twitch di Ottolina tv
Una rassegna di voci “militanti” in difesa di Julian Assange, perché sia liberato al più presto e venga impedita la sua estradizione negli Stati Uniti. L’appuntamento è per sabato 15 ottobre, a partire dalle ore 18, nella sede romana della rivista Left, in via Ludovico di Savoia 2/b.
Insieme alla nostra redazione, all’evento parteciperanno, tra gli altri: Moni Ovadia, Vauro, Francesca Fornario, Giulio Cavalli, Riccardo Noury (Amnesty International Italia), Lazzaro Pappagallo (Stampa romana), Vincenzo Vita (Articolo21), Mara Filippi Morrione (Associazione Amici di Roberto Morrione), Patrick Boylan (Free Assange Italia e autore del libro Free Assange edito da Left), Dale Zaccaria (performer e giornalista), Giuliano Marrucci (Report e Ottolina Tv), Roberto Musacchio (Media alliance), Roberto Morea (Tranform Italia!), Malgorzata Kulbaczewska (Media alliance), Giovanni Russo Spena (costituzionalista), Davide Dormino (artista), Loredana Colace (Ossigeno), Massimo Alberizzi (Senza bavaglio), Cornelia Isabel Toelgyes (Africa Express), Marina Catucci (il Manifesto), John De Leo (cantante).
Verranno proiettati inoltre i contributi di Laura Morante, Beppe Giulietti (Fnsi) e Riccardo Iacona. L’incontro sarà parte di una “24 ore no stop” mondiale a dedicata a questa battaglia di civiltà, alla quale parteciperanno anche il filosofo Noam Chomsky e l’avvocata e moglie di Assange Stella Moris.
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