Stefania Maurizi una giornalista di inchiesta che da oltre dieci anni segue il caso del giornalista australiano Julian Assange. Il suo libro Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks spiega le sfaccettature di questo caso che sta provocando scossoni alla nostra democrazia liberale con preoccupanti involuzioni.
Questa intervista vuole chiarire esattamente i contorni di questa inquietante vicenda.
Francesca Piana
Milano, 12 ottobre 2022
Stefania, tu hai lavorato con Julian Assange. Ci spieghi per favore di cosa è accusato precisamente il giornalista australiano?
Julian Assange è incriminato esclusivamente per i documenti pubblicati nel 2010 che riguardano le guerre in Afghanistan, in Iraq, il lager di Guantanamo e i cablo della diplomazia americana che hanno permesso di rivelare scandali e uccisioni stragiudiziali con i droni in luoghi come il Pakistan.
Da 12 anni Assange non ha più conosciuto la libertà e rischia di finire per sempre chiuso in una prigione americana di massima sicurezza. Questo ci dà un’idea del degrado, delle disperate condizioni della nostra politica e della nostra democrazia.
Quando mi chiedono di questo caso, dico sempre che tutti possono capirlo: un giornalista non ha più camminato per la strada da uomo libero dopo aver rivelato documenti segreti del governo americano che permettevano di far emergere i crimini di guerra dall’Afghanistan all’Iraq e le torture da Guantanamo all’Iraq.
Tutti abbiamo un senso della giustizia, tutti ci rendiamo conto di quanto è folle la situazione per cui coloro che hanno commesso atrocità e crimini di guerra non sono mai stati sfiorati da inchieste, non hanno fatto un solo giorno di prigione, mentre chi ha avuto il coraggio morale e l’integrità di rivelare questi crimini non ha più conosciuto la libertà e rischia di perderla per sempre.
Questo è un concetto che possiamo capire tutti. Non serve essere grandi esperti del caso per comprendere qualcosa che può capire un bambino.
Qual è la situazione attuale di Julian Assange?
E’ molto seria. La giudice di primo grado, Vanessa Baraitser, aveva negato l’estradizione dal Regno Unito agli Stati Uniti unicamente per il rischio suicidio date le condizioni di salute estremamente serie del giornalista australiano.
In secondo grado, però, la High Court di Londra ha concesso l’estradizione dato che gli Stati Uniti hanno fornito garanzie diplomatiche secondo le quali il rischio suicidio verrà contenuto.
Poco importa che nel frattempo sia emerso che la CIA aveva pianificato di uccidere Assange.
La giustizia inglese non ha avuto alcun problema a concedere l’estradizione di un giornalista in un Paese la cui potentissima agenzia di intelligence, la più potente del mondo, aveva intenzione di ucciderlo.
La difesa ha appellato alla Suprema Corte, ma l’appello non è stato concesso e quindi la giustizia britannica è tornata alla Westminster Magistrates Court dichiarando che Julian Assange è estradabile.
La ministra dell’Interno Priti Patel (che ha da poco dato le dimissioni in quanto è subentrato un nuovo governo, ndr) ha firmato l’ordine di estradizione di Assange emesso dal giudice Paul Goldspring della Westminster Magistrates Court.
Il team legale di Assange ha fatto appello (lo scorso luglio), anzi, ha chiesto il permesso di fare appello dato che in Inghilterra non esiste un diritto automatico a fare appello come in Italia.
Se l’appello viene concesso, si torna alla High Court, quindi alla Supreme Court e infine, se entrambe le istituzioni decideranno per l’estradizione, alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo, che è l’ultima chance cui si può ricorrere (solo) dopo aver esaurito tutti i gradi di giudizio in Inghilterra.
La vita di Julian Assange è appesa a un filo. Abbiamo davanti pochi mesi, al massimo fino agli inizi del 2023.
Il primo ministro australiano Anthony Albanese, che si è insediato il 23 maggio scorso, si è schierato con Assange ma alla domanda se spingerà gli Stati Uniti a far cadere le accuse, non si è sbilanciato. Qualcosa si muove?
Assange è stato completamente abbandonato. Una delle ragioni per cui il giornalista australiano si era rifugiato nell’Ambasciata dell’Ecuador nel 2012 è proprio perché non aveva ricevuto alcuna forma di aiuto dal suo Paese. L’arrivo di Anthony Albanese è sicuramente una speranza perché non può fare di peggio di quanto ha fatto finora il governo di destra australiano, ma rimane da vedere cosa concretamente farà il suo governo.
In che modo il futuro di Assange deciderà il futuro del giornalismo nelle nostre democrazie?
Se a un giornalista, che non è nemmeno un cittadino americano, viene applicata una legge del 1917 (Espionage Act, ndr) che mette sullo stesso piano i traditori che passavano l’informazione segreta al nemico nelle guerre mondiali e chi rivela documenti segreti per far emergere crimini di guerra e torture, è chiaro che è finita la libertà di stampa, non c’è alcuna possibilità di fare un giornalismo che va a colpire i livelli più alti del potere, la criminalità di Stato.
Se ciò avviene nella democrazia più avanzata nel mondo, gli Stati Uniti, che ha una protezione costituzionale della stampa fortissima, il fatto è ancora più grave.
Se infatti in Italia e nel Regno Unito è un reato violare il segreto di Stato e pubblicare documenti segreti, negli Stati Uniti non c’è alcuna legge che lo impedisce proprio perché lì il First Amendment garantisce una protezione altissima alla stampa, la massima tutela della libertà di stampa.
Il caso avrà effetti devastanti in primo luogo sulla libertà di stampa negli Stati Uniti e poi a cascata sulla libertà di stampa nel resto del mondo.
A che serve un giornalismo se non può rivelare la criminalità di Stato ai più alti livelli? Nei paesi autoritari non la puoi rivelare, ti ammazzano o ti chiudono in una prigione per sempre, nelle democrazie deve essere possibile.
Tu hai scritto che, avendo Assange contro di sé l’intero complesso militare e d’intelligence degli Stati Uniti e una serie di governi, eserciti, servizi segreti di varie nazioni, l’unica protezione in cui può sperare è quella dell’opinione pubblica mondiale: lo credi ancora?
C’è una forte mobilitazione finalmente, ci sono voluti diversi anni e questo è lo scandalo, ma ora c’è, mi dà fiducia.
Non dobbiamo avere alcuna speranza nella legge inglese, nessuna speranza che Assange possa vincere nel Regno Unito, alla Corte Europea forse è diverso. La mobilitazione di cui parlo include qualsiasi tipo di iniziativa, dai picchetti alle manifestazioni, dai dibattiti alle conferenze fino alle risoluzioni dei consigli comunali, provinciali, regionali.
Non a caso il premio Nobel argentino per la pace, Perez Esquivel, ha fatto un appello, si è esposto su questo caso dicendo che serve una mobilitazione pubblica perché l’ha provato sulla propria pelle durante la dittatura quando fu arrestato e torturato e si salvò solo grazie alla mobilitazione pubblica.
Assange non può sperare nella legge. Se potesse sperarci, i criminali di guerra dei quali ha denunciato i crimini verrebbero puniti, invece godono di impunità assoluta. Se quello che io chiamo potere segreto rispondesse alla legge, sarebbero stati puniti.
Tu scrivi che Assange e i suoi giornalisti ti hanno insegnato a usare la crittografia per proteggere le tue fonti. Che importanza ha avuto e ha per te la crittografia e quanti giornalisti oggi la usano?
Per me è stata importantissima. Nel 2008 conoscevo l’esistenza della crittografia. C’era un’unica organizzazione giornalistica al mondo che la utilizzava in quegli anni: WikiLeaks.
Era un’organizzazione pochissimo conosciuta, piccola, di nicchia, non aveva ancora pubblicato i grandi scoop per cui sarebbe diventata famosissima nel mondo nell’aprile 2010.
Sono arrivata a loro perché ero interessata a proteggere le mie fonti con la crittografia ed erano gli unici a usarla in modo sistematico, volevo imparare a usare la crittografia.
Oggi è un po’ più diffusa ma non ancora molto, si continuano a usare tecniche del Novecento, le email, il telefono, ma purtroppo questi sistemi sono completamente inadeguati al XXI secolo, che è il secolo della sorveglianza.
È facilissimo penetrare nei computer, nelle mail, nei telefoni. In ogni luogo del mondo la crittografia nel giornalismo è ancora poco usata, molto di più che nel 2008 ma ancora troppo poco, un po’ perché non è facile per quanto sia più user friendly che in passato, ma è una soluzione complessa.
Pochi i giornalisti, i giornali italiani che la usano. Si pensa che incontrare la fonte di persona sia una via, ma è facilissimo seguire un giornalista e la sua fonte.
Dal 2009 hai lavorato alla pubblicazione di milioni di documenti classificati insieme a Julian Assange e la sua organizzazione, loro per WikiLeaks, tu per “L’Espresso” e “la Repubblica” prima, “il Fatto Quotidiano” poi. Il tuo lavoro sul caso Assange ha influito nella scelta di cambiare giornale?
Il mio lavoro sul caso di Assange e WikiLeaks ha sicuramente influito perché ho lasciato “la Repubblica” proprio per continuare a fare quel lavoro che lì non era più possibile fare in quanto la linea editoriale era profondamente cambiata, il giornale era cambiato, la proprietà era cambiata. Quindi ho scritto il libro.
Potevo scegliere di cambiare il mio lavoro, invece ho cambiato giornale pur di continuare a fare il lavoro che ritenevo importante.
Francesca Piana
francescapiana@gmail.com
twitter @africexp
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Sabato 15 ottobre, a partire dalle ore 18, nella sede romana di Left, un incontro per chiedere la liberazione del fondatore di Wikileaks. Tra i presenti: Moni Ovadia, Vauro, Francesca Fornario, Riccardo Noury. L’evento fa parte di una “24 ore non stop” mondiale sul tema a cui parteciperanno anche il filosofo Noam Chomsky e l’avvocata e moglie di Assange Stella Moris.
Una rassegna di voci “militanti” in difesa di Julian Assange, perché sia liberato al più presto e venga impedita la sua estradizione negli Stati Uniti. L’appuntamento è per sabato 15 ottobre, a partire dalle ore 18, nella sede romana della rivista Left, in via Ludovico di Savoia 2/b.
Insieme alla nostra redazione, all’evento parteciperanno, tra gli altri: Moni Ovadia, Vauro, Francesca Fornario, Giulio Cavalli, Riccardo Noury (Amnesty International Italia), Lazzaro Pappagallo (Stampa romana), Vincenzo Vita (Articolo21), Mara Filippi Morrione (Associazione Amici di Roberto Morrione), Patrick Boylan (Free Assange Italia e autore del libro Free Assange edito da Left), Dale Zaccaria (performer e giornalista), Giuliano Marrucci (Report e Ottolina Tv), Roberto Musacchio (Media alliance), Roberto Morea (Tranform Italia!), Malgorzata Kulbaczewska (Media alliance), Giovanni Russo Spena (costituzionalista), Davide Dormino (artista).
Verranno proiettati inoltre i contributi di Laura Morante, Beppe Giulietti (Fnsi) e Riccardo Iacona. L’incontro sarà parte di una “24 ore no stop” mondiale a dedicata a questa battaglia di civiltà, alla quale parteciperanno anche il filosofo Noam Chomsky e l’avvocata e moglie di Assange Stella Moris.
Per questo invitiamo i nostri lettori e le nostre lettrici, assieme a chiunque desideri approfondire la vicenda di Assange e sostenere la lotta globale per la sua liberazione, a partecipare all’incontro. Sarà possibile seguirlo anche online, attraverso la diretta Facebook sulla pagina di Left.
La “24 ore non stop” italiana per Julian Assange, invece, potrà essere seguita sui canali Youtube di Pressenza Italia e Terra nuova edizioni e sul canale Twitch di Ottolina tv
Alla maratona parteciperanno anche Massimo Alberizzi, direttore di Senza Bavaglio e di Africa ExPress, e Cornelia Toelgyes, vicedirettore di Africa ExPress
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