Il 31 marzo scorso è morto a 83 anni Silvano Girotto, noto anche come Padre Leone e più famoso con il soprannome di Frate Mitra: è stato un ex legionario, ex frate francescano missionario in Bolivia, ed ex guerrigliero italiano in Cile, dove fu tra i fondatori del Movimento di Sinistra Rivoluzionaria, esponente della teologia della liberazione e oppositore del dittatore Augusto Pinochet. Diventò famoso negli anni Settanta quando collaborò con i carabinieri del generale Dalla Chiesa e permise la cattura dei capi brigatisti Renato Curcio e Alberto Franceschini. Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata a Massimo Alberizzi, nel 2005 ad Adua in Tigray nella missione che è vicinissima ai campi dove si combatte la guerra in Etiopia.
Massimo Alberizzi
Adua, 25 aprile 2005
Ricordate Frate Mitra, Silvano Girotto, parroco a Chapare, una sperduta regione dell’ Amazzonia, che negli anni ’70, in Bolivia, per combattere la sanguinosa dittatura di Hugo Banzer, fondò il Mir (Movimiento de Izquierda Revolucionaria), imbracciò il mitra e si diede alla guerriglia?
Il prete, allora si chiamava Padre Leone, che durante il colpo di Stato di Augusto Pinochet in Cile (l’11 settembre 1973), ricercato dalla polizia si rifugiò, assieme a decine di persone, nell’ambasciata italiana? Colui che, tornato in Italia, fu infiltrato dal generale Dalla Chiesa nelle Brigate rosse e l’ 8 settembre 1974 fece catturare a Pinerolo, Renato Curcio e Alberto Franceschini?
Ebbene, Frate Mitra si è trasferito ad Adua (in Etiopia, a pochi chilometri dal confine con l’Eritrea) e aiuta la sorella Laura, superiora delle suore salesiane, nella difficile gestione della più bella missione di tutta l’ Africa.
Silvano, 66 anni portati benissimo (attenzione notare che quest’articolo è stato scritto nel 2005, ndr) e occhi di un azzurro intenso, si è sposato parecchio tempo fa con Carmen (boliviana e ex guerrigliera anche lei, il suo nome di battaglia era Compagna Laura) e ha due figlie che vivono in Italia.
La missione salesiana sorge a poche centinaia di metri dalla piana dove il primo marzo 1896 le truppe italiane subirono una storica sconfitta da parte dell’esercito etiopico del ras Menelik II. L’ esperienza guerrigliera di Silvano Girotto, spesso considerata una «montatura» pilotata da più servizi segreti e usata dell’allora colonnello Dalla Chiesa per facilitarne l’infiltrazione nelle Br, è stata seguita dagli studi in ingegneria: ora cura la parte impiantistica.
“Non rimpiango niente del mio passato – racconta -. Ho agito con coerenza e correttezza, sempre al fianco dei più deboli e bisognosi. In Bolivia ho deciso di appoggiare la guerriglia quando ho visto l’esercito ammazzare oltre 500 persone e una settimana dopo le alte gerarchie della Chiesa celebrare il “Te Deum”, nella cattedrale di La Paz, con invitato d’onore Banzer. Stessa cosa in Cile, dove noi del Mir avevamo le basi e avevamo trovato rifugio. L’ assassino di Allende, lo stadio dove venivano ammassati i comunisti, e il Te Deum con i vescovi e Pinochet. Troppo”.
Se non fosse successo tutto questo sarebbe ancora sacerdote? “Certamente io non ho mai pensato di lasciare il mio ministero. Mi hanno chiesto di abiurare il mio passato, di pentirmi di aver partecipato alla guerriglia. Ci ho pensato e mi sono chiesto se valeva la pena abbandonare la mia gente, tradirla. Ho detto no”.
Poi si è sposato… “Si, non lo avrei fatto se fossi rimasto prete, come avrei voluto. Ma una volta fuori ho pensato di crearmi una famiglia e Carmen è una donna straordinaria. Mi ha aiutato moltissimo”.
La compagna Laura di una volta è oggi un’infermiera professionale. Nella missione si fa in quattro per chiunque e la piccola clinica della struttura, nata per aiutare gli studenti, è diventata un punto di riferimento per la popolazione di Adua. “Ci siamo conosciuti durante la guerriglia, poi ci siamo persi di vista quando a Santiago ci siamo rifugiati in ambasciate diverse. Io sono tornato in Italia con il primo aereo che ha rimpatriato i nostri connazionali. Dopo un po’ lei mi ha chiesto aiuto e l’ho fatta venire da noi”.
Silvano Girotto, che ha scritto un libro sulla sua storia («Mi chiamavano Padre Mitra») era ad Adua quando è scoppiato il conflitto tra Etiopia ed Eritrea: “Abbiamo aiutato i profughi che arrivavano in missione senza nulla. Almeno centocinquantamila persone sono passate da qui chiedendo aiuto. Chi paga per le guerre è la povera gente. Ho sempre presente nella mia mente Benjamin, un ragazzino che aveva 14 anni. Conservo la sua foto in camera. Era intelligentissimo e voleva fare l’ elettricista. Lo portavo con me a mettere a posto gli impianti della missione. Quando gli ho regalato un cacciavite e una pinza era felicissimo. Un giorno è sparito. Si è arruolato per difendere la sua gente, mi ha detto. So che appena arrivato al fronte me l’ hanno ammazzato”.
C’è molta differenza tra l’ America Latina e l’ Africa. “Sono situazioni assai diverse, ma ho visto molti morti sia lì che qui e vorrei non vederli mai più. Desidererei che la Chiesa, cui sono ancora molto legato, facesse di più per i poveri, i diseredati, i paria del mondo. E invece mi accorgo che resta lontana dalla realtà”.
Una realtà che è sempre più drammatica: fame, carestie, la piaga dell’ Aids. La teologia della liberazione che si sviluppò in Sud America negli anni ’70 avrebbe potuto aiutare? “Certamente, ma la Chiesa di Roma non ne volle sapere. Da un lato l’ apertura di Paolo VI, che addirittura in casi particolarmente drammatici ammetteva la lotta armata, dall’altro l’allora cardinale Ratzinger che ispirava i corposi documenti con cui si condannava la teologia della liberazione. Le contraddizioni della Chiesa risiedono nel fatto che non riesce a capire le condizioni della gente del Terzo Mondo. La condanna dei preservativi assomiglia tanto alla condanna inflitta a Galileo. Per ragionare nei villaggi africani non si possono usare gli stessi metri che si adoperano nelle ovattate sale del Vaticano”.
E i rapporti con i brigatisti che fece catturare? “Li ho incontrati e siamo diventati amici. Abbiamo parlato e discusso. Mi hanno dato ragione. Mi sono associato alla guerriglia in America Latina, in condizioni particolari, sotto la cappa di una feroce dittatura. In Italia non c’erano le condizioni per la lotta armata. Era assolutamente fuori luogo pensarlo. Da noi non c’era una dittatura che ammazzava i contadini e la povera gente. Ora anche loro sono d’accordo con me”.
Nella trappola scattata a Pinerolo doveva esserci anche Mario Moretti. “Sì, all’appuntamento doveva esserci anche lui. Ma all’ultimo momento fu avvisato da una telefonata che se ne stesse lontano. Non so chi l’abbia avvisato, ma di quell’incontro sapeva soltanto un pugno di persone e nessun’altro. Strano che sia sfuggito, vero?”.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo. Specifica se vuoi essere iscritto alla Mailing List di Africa Express per ricevere gratuitamente via whatsapp le news del nostro quotidiano online.
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 21 dicembre 2024 Niente pace – almeno per…
Dalla Nostra Inviata Speciale EDITORIALE Federica Iezzi Gaza City, 20 dicembre 2024 In Medio Oriente…
Speciale Per Africa ExPress Raffaello Morelli Livorno, 12 dicembre 2024 (1 - continua) Di fronte…
Africa ExPress Cotonou, 18 dicembre 2024 Dall’inizio di settembre 2024 è attivo il Centro Ostetrico…
Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau 17 dicembre 2024 Un festival panafricano. In Arabia, Europa,…
Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 16 dicembre 2024 Due multinazionali sono responsabili della disfunzione…