17 settembre 2022
Da qualche giorno è scattata una mobilitazione generale in Eritrea. Era nell’aria da tempo, giacché reclutamenti forzati di ragazze e ragazzi proseguono da quasi due anni per le strade dei villaggi e delle città eritree. L’obbiettivo è reclutare con la forza giovanissimi per spedirli in Etiopia a combattere i tigrini a fianco delle truppe federali di Addis Abeba.
Basti pensare che all’inizio di settembre i militari del dittatore Isaias Aferwerki sono entrati persino nella chiesa di San Salvatore nel villaggio di Akrur, vicino a Segeneyti, costringendo i ragazzi e le ragazze presenti di seguirli. Arruolati a forza, saranno mandati in Tigray, la vicina regione etiopica, dove si combatte nuovamente dal 24 agosto, dopo una tregua di 6 mesi.
Da giovedì scorso sono stati diramati avvisi di mobilitazione ad Asmara, nella seconda città più grande, Keren, nella città occidentale di Tessenei e nel resto del Paese, richiamando alle armi anche i riservisti fino all’età di 55 anni.
Insomma il regime eritreo sta mobilitando tutti per rafforzare il proprio esercito che affianca le forze etiopiche nella guerra in Tigray. Chi non si presenta alla chiamata paga un caro tributo: oltre all’arresto immediato dei congiunti, viene sequestrata la casa di famiglia.
La repressione del tiranno continua anche in altri campi. Il 23 agosto il regime ha posto i sigilli a un’altra scuola tecnica gestita da Lassaliani (Fratelli delle scuole cristiane, ordine religioso fondato da Giovan Battista La Sallle) a Hagaz.
La stessa fine ha fatto la Don Bosco Technical School a Dekemhare vicino ad Asmara e sostenuta dalla Confederazione elvetica. Il dipartimento federale degli Affari esteri svizzero (DFAE) ha confermato la notizia e ha aggiunto: “La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) non ha riuscito a bloccare la decisione delle autorità eritree di rilevare la scuola”. Alunni e operatori hanno dovuto lasciare l’istituto.
Va ricordato che le truppe di Isaias hanno combattuto con le forze etiopiche nel Tigray già in precedenza e un anno fa Washington aveva imposto sanzioni a alcuni esponenti militari e della sicurezza eritree.
L’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Tesoro aveva accusato le truppe di Asmara di massacri, saccheggi, stupri, torture, esecuzioni e quant’altro, addebiti ovviamente respinti categoricamente dal governo della nostra ex colonia.
Intanto non si esclude che Isaias possa impiegare nuovamente i militari somali che si trovano ancora in Eritrea per l’addestramento. A tutt’oggi non è chiaro quanti di questi soldati siano morti nella guerra in Tigray, dove, secondo molte fonti, avrebbero combattuto in passato insieme agli uomini di Isaias accanto alle forze etiopiche.
Il neo eletto presidente Hassan Sheikh Mohamud (già capo di Stato della Somalia dal 2012 al 2017) ha incontrato il suo omologo a luglio a Asmara. Durante la sua visita, Muhamud ha avuto modo di parlare anche con le sue truppe, lasciando sottendere che presto sarebbero tornati a casa.
Al momento attuale il regime eritreo fa orecchie da mercante e, in una intervista rilasciata al Center for Strategic and International Studies (CSIS) proprio ieri, il presidente somalo ha detto di aver chiesto il sostegno degli Stati Uniti per riportare a casa i propri soldati.
Va anche ricordato che l’esercito di Isaias ha addestrato forze speciali dell’Amhara e delle milizie volontarie di FANO (gruppo giovanile armato Amhara).
Dalla ripresa dei combattimenti nel Tigray, il 24 agosto scorso, il regime di Asmara ha facilitato ancora l’accesso delle truppe alleate dell’ENDF (Ethiopian Defense Force) nel Tigray tramite l’ingresso dal proprio territorio. E infine, secondo quanto riportato su twitter da Getachew Reda, portavoce del TPLF, l’Etiopia starebbe inviando quasi giornalmente altre truppe in Eritrea con camion e via aerea.
E giovedì, 1° settembre, un portavoce delle forze tigrine ha fatto sapere che truppe governative e eritree hanno lanciato un attacco congiunto nella regione settentrionale dell’Etiopia. Dunque l’Eritrea, malgrado le infinite sollecitazioni, lanciate dalle istituzioni internazionali, è nuovamente parte attiva nel conflitto.
Infatti combattimenti continuano senza sosta, nonostante a Gibuti siano iniziati i colloqui di pace sotto l’egida dell’Unione Africana, con Olusegun Obasanjo, alto rappresentante dell’UA per la pace nel Corno d’Africa e ex presidente della Nigeria, degli Stati Uniti, con la partecipazione dell’inviato speciale americano per il Corno d’Africa , l’ambasciatore Mike Hammer, e del Kenya, che ha nominato l’ex presidente Uhuhu Kenyatta come suo inviato di pace per la regione dei Grandi Laghi e il Corno d’Africa.
Mentre del team dei negoziatori del TPLF (Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray) fanno parte Getachew Reda e Tsadkan Gebretinsae; Addis Ababa, invece ha nominato come suoi rappresentanti Gedion Thimotheos, ministro della Giustizia e Redwan Hussein, ambasciatore e alto funzionario del ministero degli Esteri etiopico.
Distruzione e morte provocate dei bombardamenti a tappeto soprattutto a Makallé, capoluogo della regione. Ieri, secondo alcune fonti, sarebbe stata colpita anche Sciré (città Nord Ovest del Tigray, nella zona di Bademe) .
Ma come sempre, è davvero difficile verificare le notizie che giungono dal Tigray. Nessun giornalista indipendente ha accesso alle zona di guerra e le informazioni giungono dunque frammentarie e impossibili da controllare.
Africa ExPress
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