5 settembre 2022
Mentre le iniziative di pace hanno faticato a concretizzarsi dopo la tregua concordata alla fine di marzo, durata 5 mesi appena, l’Etiopia è di nuovo sprofondata nella guerra civile, a quasi due anni dallo scoppio delle ostilità.
La guerra nel nord dell’Etiopia, che oppone le forze federali e i loro alleati eritrei al TPLF (Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray), è scoppiata nel novembre 2020. I combattimenti sono ripresi il 24 agosto, e si stanno espandendo rapidamente.
Giovedì, 1° settembre, un portavoce delle forze tigrine ha fatto sapere che truppe governative e eritree hanno lanciato un attacco congiunto nella regione settentrionale dell’Etiopia. Dunque l’Eritrea è nuovamente parte attiva nel conflitto, malgrado le infinite sollecitazioni, lanciate dalle istituzioni internazionali in passato.
Intanto anche Khartoum è in stato dall’arme per l’inasprirsi dei combattimenti, in particolare lo sono gli agricoltori sudanesi residenti lungo il confine con l’Etiopia.
Molti ex caschi blu dell’ONU, originari del Tigray, che hanno prestato servizio con il contingente di pace ad Abyei, regione contestata da Sudan e Sud Sudan, non sono ritornati a casa, ma hanno chiesto asilo alle autorità di Khartoum.
Secondo quanto riporta Bloomberg (multinazionale giornalistica sede a New York), gli ex caschi blu, tra cui centinaia di ufficiali che facevano parte dell’esercito etiopico prima di unirsi alla missione dell’ ONU, di recente si sono spostati vicino a Humera, nel Tigray occidentale.
Getachew Reda, portavoce e membro del TPLF, ha confermato l’arrivo di ex membri della missione ONU. Proprio poche ore fa il governo sudanese ha confermato di aver concesso lo status di rifugiato a 247 ex caschi blu che hanno prestato servizio nella missione internazionale nella regione di Abyei, contesa da Sudan e Sud Sudan.
Sudan Tribune, quotidiano online con base a Parigi, ha riportato il 31 agosto che “Violenti scontri sono in corso al confine sudanese-etiope tra le forze del Tigray, l’esercito governativo e le forze alleate di Fano (gruppo giovanile armato Amhara)”.
Sempre secondo Sudan Tribune, le forze del Tigray, per impedire l’arrivo dei rifornimenti logistici alle forze etiopiche da Gadaref, nel Sudan orientale, alle città di Wolkayit e Humera, avrebbero preso il controllo della strada che collega il distretto di Lagayt con la provincia di Bahr Dar.
E per l’inasprirsi del conflitto nelle aree confinanti con il Sudan, il governo di Khartoum ha ordinato alle organizzazioni umanitarie di evacuare immediatamente il centro di accoglienza/registrazione di Hamdayet che si trova alla frontiera con l’Etiopia.
Le autorità non escludono nemmeno l’evacuazione dei residenti per il dispiegamento di truppe sudanesi sia a Hamdayet che a Qudimah.
Difficile verificare le notizie che giungono dal Tigray. Nessun giornalista indipendente ha accesso alle zona di guerra e le informazioni giungono dunque frammentarie e impossibili da controllare.
Secondo fonti non indipendenti la coalizione di ENDF (Ethiopian National Defense Force), EDF (Eritrean Defence Forces) e forze Amhara, parteciperebbero ai combattimenti con con circa 190.000 uomini contro i militari del TDF nell’area.
Intanto Washington ha condannato fermamente la nuova partecipazione e il coinvolgimento dell’Eritrea nella guerra. L’inviato speciale americano per il Corno d’Africa , l’ambasciatore Mike Hammer, dovrebbe raggiungere Addis Abeba in queste ore. Hammer chiederà un immediato cessato il fuoco e la ripresa dei colloqui di pace.
Sin dall’inizio dalla ripresa dei combattimenti, il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, ha chiesto alle parti coinvolte nel conflitto di sedersi al tavolo delle trattative e di fare riferimento a Olusegun Obasanjo, ex presidente della Nigeria, nominato mediatore dall’UA nell’agosto 2021.
Ma Obasanjo non è riuscito a conquistare la fiducia di tutte le parti in causa, specie dopo aver invitato anche l’Eritrea al tavolo delle trattative. Il TPLF ha espressamente rifiutato il ruolo di mediatore dell’ex leader nigeriano e ha messo in dubbio la sua imparzialità, essenziale per svolgere tale ruolo.
Le poche notizie che filtrano raccontano che la situazione è insostenibile. La fame continua a uccidere quanto i proiettili e le bombe, specie dopo il sequestro di 12 autocisterne piene di carburante dai depositi del Word Food Programme.
Senza benzina è impossibile portare aiuti umanitari alla popolazione. David Beasley, direttore esecutivo di WFP, il 25 agosto ha chiesto alle autorità del Tigray di restituire immediatamente le cisterne che contenevano oltre mezzo milione di litri di carburante, arrivati solo pochi giorni prima a Makallé.
Beasley ha sottolineato che circa 5,2 milioni di persone soffrono la fame. La mancanza di combustibile porterà le comunità del Tigray, già alle prese con le conseguenze del conflitto, sul precipizio della carestia.
Africa ExPress
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