Massimo A. Alberizzi
27 agosto 2022
Emergono nuovi particolari sull’impegno dell’Italia nell’addestramento dei gruppi paramilitari sudanesi responsabili di soffocare nel sangue le manifestazioni popolari a favore della democrazia in Sudan. Nel Paese africano già da oltre un anno, si alterna una squadra di 12 militari italiani il cui compito è di istruire gli ex janjaweed che ora si sono riciclati nel Rapid Support Forces.
Ogni mestiere, si sa, ha i suoi lati negativi, ma avere a che fare con i tagliagole criminali che in Darfur attaccavano i villaggi africani, bruciavamo le capanne, stupravano le donne, ammazzavano a sangue freddo gli uomini e rapivano i bambini, tutti compiti svolti senza nessuna pietà, non dev’essere una bella esperienza. E fornirgli armi e soldi per continuare il loro sporco lavoro fa venire il voltastomaco anche al più incallito dei delinquenti.
Eppure, per ubbidire alla ragion di Stato e ai suoi ordini, uno dei dirigenti del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), agenzia che dipende dalla presidenza del consiglio, il colonnello Antonio Colella, con quattro uomini fidatissimi e una donna apparentemente rappresentante di una NGO, il 12 gennaio scorso ha incontrato il capo dei tagliagole il generale Mohamed Hamdan Daglo, detto Hemetti.
La conferma arriva da fonti vicine al generale sudanese Ahmed Ibrahim Ali Mofadaal, capo dell’intelligence sudanese, che era presente all’incontro. Ali Mofadaal è un pericoloso islamista che era uno dei dirigenti della dittatura di Omar Al Bashir. E’ considerato il diretto responsabile della feroce repressione delle manifestazioni di piazza che si susseguono perché sia sciolto il governo militare e il potere sia restituito ai civili. Da anni è uno stretto collaboratore di Hemetti. Insieme i due guidano i paramilitari tagliagole del Rapid Support Forces.
La delegazione italiana è stata ricevuta da Hemetti e da Mofadaal due volte. Durante l’incontro Colella e gli altri hanno confermato l’impegno italiano ad addestrare i janjaweed, ufficialmente per bloccare i migranti che tentano di raggiungere il Mediterraneo e quindi l’Europa attraverso il Sudan e la Libia passando dall’oasi di Kufra.
In questo momento, stavolta direttamente da fonti del Rapid Support Forces, si apprende che in Sudan c’è un drappello di 12 militari italiani impegnati nell’addestramento degli ex janjaweed.
Nell’operazione, che potremmo definire “addestramento dei tagliagole”, l’Italia fornisce la parte tecnica di formazione dei miliziani. I finanzianti invece provengono dall’Unione Europea. Infatti, il 23 ottobre 2017 (quando al potere c’era ancora il dittatore Omar Al Bashir) l’UE ha stanziato centosei milioni di euro per non ben chiariti aiuti al Sudan.
Il finanziamento è stato deliberato dopo il rapporto di Christos Stylianides, commissario dell’UE, responsabile aiuti umanitari e gestione di crisi, che aveva appena visitato il Sudan.
La direttiva del 2017 prevedeva che quarantasei milioni di euro venissero devoluti ad aiuti umanitari, mentre la restante somma era destinata allo sviluppo. E’ lecito supporre che una parte di quei fondi siano utilizzati ora proprio per pagare i costi dell’addestramento dei criminali.
L’Europa aveva tenuto a precisare che il finanziamento sarebbe stato gestito da organizzazioni umanitarie e non dal governo sudanese. Dal 2011 ad oggi l’Unione ha devoluto al Sudan ben quattrocentoventidue milioni di euro per venire in aiuto alle popolazioni toccate da conflitti, catastrofi naturali, epidemie, insicurezza alimentare e malnutrizione.
Proprio qualche settimana fa. ad inizio agosto, Chiara Cardoletti, la rappresentante per l’Italia dell’Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR) ha visitato il Sudan con una delegazione italiana guidata da Luigi Maria Vignali, Direttore Generale per le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri.
Vignali conosce bene il Paese africano, dove, tra l’altro è già stato ultimamente per trattare la liberazione dell’imprenditore veneto Marco Zennaro
La delegazione, accompagnata dall’ambasciatore a Khartoum Gianluigi Vassallo ha visitato i campi profughi di Um Rakuba e Tunaybah (non lontano dalla frontiera con l’Etiopia) che ospitano i profughi in fuga dal Tigray, dove si combatte una cruenta guerra civile. Il Sudan accoglie oltre un milione di rifugiati provenienti dal Paese limitrofo, una parte dei quali per raggiungere il Mediterraneo e l’Europa rischia di cadere nelle mani delle bande di trafficanti di uomini.
Massimo A. Alberizzi
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