Dubai, 12 agosto 2022
L’Arabia Saudita durante secoli di splendore della sua (in)civiltà, è riuscita a coniugare con mirabile eleganza il culto del Nuovo Rinascimento con le torture.
Ne sa qualcosa Abdulrahman al Sadhan, operatore umanitario della Mezzaluna Rossa – Croce Rossa Internazionale di Riyad – condannato a 20 anni di galera, più altri 20 di divieto di espatrio, per aver commentato sui social (con un profilo rigorosamente anonimo) che in Arabia Saudita non vengono rispettati i diritti umani.
Le critiche al regime hanno infastidito il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman, che ha sguinzagliato i suoi 007 per rapire (a fin di bene, s’intende!) l’autore del post su Twitter per un “civile” confronto dialettico.
Come ha fatto il principe ereditario a scoprire l’infingardo è stato per lungo tempo un segreto. Nessuno ha più saputo nulla del desaparecidos fino a qualche mese fa, quando (nel massimo segreto) in Arabia si è tenuto il processo farsa contro lo sventurato giovane saudita di 37 anni, al quale non è stato concesso neppure un avvocato di fiducia per difendersi.
La condanna a 20 anni di carcere è per “collusione con potenze straniere pregiudizievoli dell’ordine pubblico e dei valori religiosi”.
Si è poi appreso ch’era stato sequestrato e fatto sparire dalla circolazione dagli aguzzini del principe MBS, confinato in una Guantanamo saudita (ovviamente detenuto senza mandato e senza accuse formali) dov’è stato abbondantemente malmenato con bastoni, frustato, torturato con scosse elettriche dove non batte il sole, molestato sessualmente, privato del sonno e altre belle cose tipiche del Nuovo Rinascimento.
Dulcis in fundo – sotto tortura – dal tribunale della santa inquisizione del Nuovo Rinascimento saudita, è stato costretto a firmare dei documenti ammettendo ogni addebito, senza aver nulla a pretendere.
Sempre meglio che pestato a sangue, torturato, ammazzato, segato in pezzetti e cotto sul barbecue, com’è accaduto al povero giornalista Jamal Khashoggi, assassinato per ordine del principe del Nuovo Rinascimento, in una sede diplomatica dell’Arabia Saudita.
Ma siccome il diavolo generalmente fa le pentole (ma non i coperchi), prima o poi tutti i nodi arrivano al pettine. E così una corte americana, grazie alle indagini dell’FBI, ha scoperto gli intrallazzi del principe ereditario MBS e ha rinviato a giudizio e condannato un dipendente di Twitter, tal Ahmad Abouammo (con doppia cittadinanza libanese e statunitense).
E’ stato ritenuto colpevole dalla Corte Federale della California d’aver spiato dal quartier generale di Twitter di San Francisco diversi dissidenti sauditi che utilizzavano la piattaforma del social media e di aver trasmesso queste informazioni riservate a uno strettissimo collaboratore del principe ereditario Mohammed bin Salman, tal Bader al-Asaker, direttore del sui ufficio privato.
Data la sua posizione di rilievo all’interno di Twitter, per Abouammo è stato un gioco da ragazzi trovare i dettagli personali che identificavano i critici della monarchia saudita, anche se – per non rischiare fisicamente – questi postavano i messaggi con profili anonimi per non essere identificati e svelare la loro identità al boia di Riyadh.
Un lavoro certosino e meticoloso, svolto – ovviamente – non a titolo gratuito, ma dietro adeguato compenso (costosi orologi d’oro da migliaia di dollari e vagonate di quattrini depositati su sicuri conti in Libano).
Alla Corte Federale americana non è certo sfuggito il fatto che Mohammed bin Salman è già pregiudicato e plurirecidivo.
Tant’è vero che il nome del principe ereditario era già salito agli onori della cronaca a proposito dello scandalo mondiale che ha coinvolto la società informatica israeliana NSO (lavora anche per il Mossad), che ha venduto il suo micidiale spyware Pegasus a diversi Stati canaglia.
Pegasus è stato utilizzato per spiare e hackerare i telefonini di attivisti per i diritti umani, dissidenti politici, reporter, giornalisti (alcuni anche assassinati come Jamal Khashoggi), avvocati, accademici, businessman (compreso Jeff Bezos boss di Amazon, anche lui oggetto di attenzioni del principe del rinascimento saudita), dottori, magistrati, capi di Stato, militari d’alto rango, politici, parlamentari, nonché leader religiosi.
Anche il cyberspazio saudita ormai è in rapida crescita ma nel villaggio globale della New Economy tutto il mondo può essere considerato come un’immenso oceano, nel quale scorrazza uno sterminato esercito di pirati cibernetici alla ricerca di tesori da depredare.
Si veda – solo per citarne alcuni – i vari Anonymous, 4chan, AnonOps, LulzSec, Lazarus, Shadow Brokers, DarkSide, AntiSec, Indra, MalKamak, Lyceum, Cozy Bear, Fancy Bear, Ghostwriter, Chafer, Wizard Spider, Winnti, Void Balaur, LuckyMouse, MuddyWater, Sandworm, Hacker Isis, RedAnons, Lizard Squad, Carbanak, Nobelium, Equation Group, Honker Union, Evil Corp, Revil, Black Shadow, Lockbit, Arvin Club, CopyKittens, Agrius, NCHP, TA453, APT1, APT10, APT29, APT39, etc etc.
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