Cornelia I. Toelgyes
30 luglio 2022
Le manifestazioni contro Missione dell’ONU in Congo-K, hanno coinvolto diverse città dell’est del Paese: Goma, Beni, Butembo, Nyamilima, Sake (nel Nord-Kivu) e infine si sono estese anche a Uvira, nel Sud-Kivu.
Il bilancio dei morti e feriti di questi giorni è pesante: 16 civili (5 a Goma, 4 a Uvira e 7 a Butembo, dove hanno perso la vita anche un casco blu indiano e 2 agenti di polizia dell’ONU (un indiano e un marocchino).
Già la settimana scorsa diverse associazioni di donne hanno fatto un sit-in davanti al quartier generale della MONUSCO (Missione dell’ONU per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo), considerata una delle operazioni ONU più grandi e costose al mondo, con un budget annuale di un miliardo di dollari; attualmente è presente sul territorio con 14.000 uomini.
Mercoledì quattro manifestanti sono morti, mentre il corteo si dirigeva verso quartier generale del contingente internazionale a Uvira. I dimostranti hanno perso la vita a causa di un incidente che ha a dir poco dell’inverosimile: sono stati folgorati da cavi elettrici caduti a terra dopo essere stati tranciati da alcune pallottole.
I caschi blu negano di aver sparato colpi di avvertimento che potrebbero aver causato l’incidente. Sarebbero stati gli spari della polizia, volti a disperdere i manifestanti che avrebbero provocato la rottura e la caduta di cavi elettrici.
Solo un esame balistico potrà stabilire le reali responsabilità. Il portavoce del governo, Patrick Muyaya ha dichiarato alla Reuters: “Ho chiesto di indagare per sapere se il proiettile è stato sparato dalla MONUSCO o dalle nostre forze di sicurezza”. Poi ha aggiunto che secondo alcune informazioni il proiettile potrebbe essere partito dall’interno della base della MONUSCO.
Gli attacchi contro le forze di pace sono stati condannati dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha invitato le autorità congolesi a fare luce su ciò che potrebbe costituire un crimine di guerra. Intanto in tutto il Congo-K si moltiplicano gli appelli alla calma.
Anche Modeste Bahati Lukwebo, presidente del senato, leader e fondatore del partito Alliance des Forces Démocratiques du Congo (AFDC), ha sottolineato che le sue parole sarebbero state mal comprese. In precedenza si era espresso in questi termini: per il contingente dell’ONU è arrivato il momento di “levare le tende”, visto che dopo oltre due decadi MONUSCO non è riuscita a riportare la pace nell’est del Congo-K, destabilizzato da quasi tre decenni.
Ora il presidente del senato ha specificato di non aver mai detto di cacciare i caschi blu in questo modo e ha invitato la popolazione alla calma.
Giovedì scorso anche il vescovo di Uvira, Monsignor Joseph-Sébastien Muyengo, che Africa ExPress ha sentito telefonicamente ieri sera, ha espresso le sue condoglianze alle famiglie di tutte le vittime e ha invitato i suoi diocesani alla prudenza. Ha condannato fermamente le violenze che si sono consumate in questi giorni.
Il messaggio del vescovo non ha risparmiato nessuno. Il prelato ha puntato il dito contro il governo di Kinshasa, contro le forze armate congolesi (FARDC) e anche su tutti militari stranieri presenti sul territorio, i caschi blu dell’ONU a non solo.
Finalmente, dopo giorni e giorni di disordini e morti, anche il presidente della Repubblica democratica del Congo, Felix Tshisekedi, è intervenuto sui fatti che si sono verificati in questi giorni nella parte orientale del Paese.
Durante il consiglio dei ministri che si è svolto oggi, ha chiesto al responsabile degli Interni di tenere sotto controllo la situazione. Il presidente ha inoltre denunciato che è in atto una campagna di disinformazione.
L’est del Congo-K è una zona particolarmente militarizzata, soldati di molte nazionalità ed eserciti di molti Paesi sono stati sguinzagliati nel Paese, con il compito di sradicare i gruppi armati presenti sul territorio. Intanto gli attacchi dei miliziani si susseguono, la popolazione civile continua a scappare dai villaggi – oltre 700mila dall’inizio dell’anno -, i morti non si contano più e la situazione umanitaria si aggrava di giorno in giorno proprio a causa delle incessanti violenze quotidiane.
Alla fine di giugno è nata una nuova forza militare, volta a contrastare i miliziani dei grupi ribelli M23 e ADF. Il nuovo contingente di EAC (acronimo per Comunità dell’Africa Orientale), sarà coordinato dal Kenya. Viste le recenti tensioni tra Kigali e Kinshasa le truppe ruandesi non ne faranno parte.
I militari dell’EAC opereranno in collaborazione con le autorità del Congo-K. Inoltre, coopereranno in maniera complementare con le altre missioni internazionali, da quella ONU, MONUSCO, alla Force Intervention Brigade (FIB) della SADC (Southern African Development Community), passando per il contingente UPDF (Uganda People’s Defens Forces), schierato a Beni e Ituri e presente nel Paese dal novembre dello scorso anno.
I militari ugandesi sono affiancati dai soldati di FARDC nella lotta contro il gruppo terrorista ADF un gruppo armato di origine ugandese che opera nella RDC orientale dal 1995 e ha giurato fedeltà all’ISIS in Africa centrale (ISCAP). L’ADF è accusato di aver massacrato migliaia di civili nella ex colonia belga e di aver commesso attacchi terroristici in Uganda. Oltre un anno fa gli Stati Uniti hanno inserito l’Alliance Democratic Forces nella lista dei gruppi terroristi.
Secondo un documento pubblicato pochi giorni fa dalla ong IDHB (Organisation Initiative pour les Droits Humains au Burundi) nell’est del Congo-K sarebbero presenti anche militari burundesi, affiancati da combattenti di Imbonerakune, lega dei giovani del partito al potere a Gitega, la nuova capitale del Burundi. Si tratterebbe di un’operazione segreta, messa in atto per dare la caccia ai miliziani di RED-Tabara, un gruppo ribelle dell’ex protettorato belga.
Imbonerakune è stato classificato dall’ONU come un’associazione di miliziani. Ovviamente il governo burundese e quello congolese negano l’intervento, ma la ONG afferma di avere in mano prove e testimonianze anche da parte dei miliziani stessi. Insomma, si tratterebbe dell’ennesimo segreto di pulcinella. Ufficialmente i burundesi non sono presenti, ma ufficiosamente tutti lo sanno.
Il Congo-K conta oltre 6,2 milioni di sfollati. Il Paese accoglie inoltre quasi mezzo milione di rifugiati provenienti per lo più dalla Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Burundi.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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Il titolo è completamente fuorviante. Nell'articolo non ci sono riferimenti a rivolte contro la presenza ONU, piuttosto risulta evidente la loro necessità in una situazione così complessa