Africa ExPress
24 luglio 2022
Venerdì scorso centinaia di persone hanno manifestato davanti alle ambasciate italiane in diverse città europee e persino in Israele, per protestare contro il supporto dell’Italia al governo dell’Etiopia. Un presidio della diaspora si è tenuta anche a Roma davanti alla Farnesina.
La diaspora del Tigray davanti alla Farnesina contro il supporto finanziario del governo italiano all’Etiopia
Durante la sua ultima visita lo scorso giugno ad Addis Abeba, l’allora ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ha incontrato il suo omologo Demeke Mekonnen e la presidente, Sahle Work Zewde.
Di Maio ha avuto anche colloqui con il primo ministro Abiy Ahmed, nonché con altri alti funzionari etiopici e regionali. E, secondo una nota della Farnesina: “L’Italia vanta con l’Etiopia, Paese prioritario per la nostra Cooperazione, relazioni bilaterali storiche e intense e una tradizionale collaborazione in ambito culturale ed economico commerciale”.
E a questo proposito durante il breve soggiorno in Etiopia, l’allora ministro Di Maio ha siglato un nuovo accordo di supporto economico con il ministro delle Finanze del governo di Addis Abeba, Ahmed Shide, in presenza del nostro ambasciatore, Agostino Palese e della responsabile della sede Aics (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo) nel Paese, Isabella Lucaferri.
I finanziamenti stanziati – 22 milioni di euro sotto forma di prestito agevolato – secondo quanto precisato dal ministero etiopico delle Finanze, saranno utilizzati per sostenere lo sviluppo dei parchi agroindustriali integrati (Iaip) di Bulbula, Bure, Yirgalem e Ba’eker ed i vicini centri di trasformazione rurale (Rtc), con lo scopo di creare posti di lavoro nelle aree rurali del Paese, aumentare i redditi degli agricoltori, generare proventi da esportazione, sostituire le importazioni di prodotti agricoli e contribuire alla crescita economica e alla trasformazione strutturale.
Non è apparso nessun accenno ufficiale alla guerra in atto nel Tigray, che coinvolge anche le due regioni limitrofe – Amhara e Afar -, mettendo in ginocchio milioni di persone. Un silenzio quasi totale è calato su questa guerra, iniziata nel novembre 2020. A tutt’oggi non sono state ripristinate le comunicazioni, internet e le attività bancarie, inoltre, la cronica mancanza di carburante limita la distribuzione di cibo, medicinali e beni di prima necessità.
Gli aiuti arrivano ancora con il contagocce e non bastano assolutamente per soddisfare i bisogni delle popolazioni, una catastrofe umanitaria ignorata da gran parte dei media.
Il responsabile di World Food Programme per il nord Etiopia, in una intervista alla BBC, ha dichiarato che grazie alla tregua entrata in atto a aprile, l’organizzazione è riuscita a raggiungere 1,1 milione di persone, poco più della metà degli abitanti in stato di necessità.
Ha dichiarato che un po’ di cibo per i restanti è stoccato nei magazzini, ma ci vogliono altri corridoi umanitari per raggiungere tutti. Servono fondi per rimettere in piedi quanto prima i servizi essenziali per far ripartire l’economia locale.
Una denuncia in tal senso è contenuta anche in una lettera aperta del 17 giugno 2022 dalla Eparchia cattolica di Adigrad (nella Chiesa cattolica di rito orientale l’eparchia corrisponde alla diocesi della Chiesa latina, ndr). Il vescovo di Adigrad, Abune Tesfaselassie Medhin, chiede che vengano ripristinati immediatamente i servizi essenziali nel Tigray che ha portato a un totale isolamento della regione.
Milioni di persone sono ridotte alla fame, i morti non si contano più.
Una catastrofe umanitaria, una guerra che continua il suo percorso silenzioso, anche se non si combatte più a suon di bombe e cannoni. A tutt’oggi mancano medicinali e materiale sanitario. Il conflitto ha provocato 2,2 milioni di sfollati e quasi un milione di morti.
Ciononostante il governo italiano ha concesso nuovi supporti al governo di Abiy Ahmed, premio Nobel per la Pace nel 2019, che oltre al conflitto nel Tigray ha anche altre guerre in corso, non da ultime le violenze nell’Oromia (il maggiore gruppo etnico del Paese, cui appartenne lo stesso Abiy Ahmed).
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Fotocredit: video Davide Tommasin