Sandro Pintus
Firenze, 23 luglio 2022
“L’app di Uber è diventata una piattaforma criminale, una piattaforma di paura” – ha dichiarato Derick Ongansie, sudafricano, ex autista Uber di 66 anni. Lo scrive il Washington Post in un ampio servizio sulla multinazionale grazie ai file messi a disposizione dal Consorzio internazionale di giornalismo investigativo (ICIJ).
Ongansie è tra coloro che, in Sudafrica, hanno contribuito a organizzare le proteste e uno degli autisti che ha denunciato l’azienda. “Quando si guida un’auto per Uber, si ha paura. Un poliziotto potrebbe farti accostare e sequestrarti il veicolo, oppure un cliente potrebbe essere un criminale”.
Secondo il quotidiano USA anche Shaun Cupido, 44 anni, è rimasto intrappolato con Uber. Sognava una vita migliore per la sua famiglia e Uber lo prometteva: poteva essere capo di sé stesso e avere i suoi orari. Con un’auto in affitto ha cominciato a trasportare i turisti per Città del Capo e gli affari andavano bene. Per i pagamenti delle corse era accettata solo la carta di credito. Niente contanti. Guadagnava bene, e ha cominciato a sognare: avrebbe potuto creare una flotta auto tutta sua.
Ma ecco la fregatura. Uber, poco per volta, ha modificato gli accordi. Minore retribuzione e aumento del numero di autisti. Il numero dei clienti si è dimezzato e Cupido doveva lavorare 12 ore al giorno per avere le stesse entrate guidando anche in aree pericolose. La fine del sogno è stata l’introduzione di accettare anche il pagamento in contanti “per ampliare la platea dei clienti che non hanno la carta di credito”.
Con la sua ultima corsa l’incubo di cui aveva sentito parlare dai colleghi è diventato realtà: Shaun è stato rapinato e ferito alla testa. Per riprendersi dallo shock e dalle lesioni dell’aggressione ci è voluto un mese ma è rimasta la paura. Non vuole più fare il taxista per Uber. Queste sono solo alcune brutte storie di sfruttamento selvaggio causato di Uber in Sudafrica. Il mondo ne è pieno perché il copione dell’azienda è consolidato e globalizzato.
Ovviamente, l’ingresso di Uber nel mercato con 20 mila nuovi autisti in tutto il Sudafrica ha fatto imbestialire i taxisti “regolari”. Ci sono state aggressioni ai ‘nuovi’ autisti accusati di concorrenza sleale e proteste con feriti e auto bruciate. La multinazionale, invece, è stata accusata di ingresso aggressivo e senza regole nel mercato.
Uber Files, questo il nome dell’inchiesta ICIJ, ha permesso a 180 giornalisti di 44 testate internazionali di svelare le malefatte del colosso USA del trasporto privato. Per sei mesi i giornalisti di 29 Paesi hanno analizzato 124 mila documenti tra i quali 83 mila email (2013-2017) di massimi dirigenti Uber. La fonte di questa vasta documentazione è Mark MacGann, l’ex lobbista pentito dell’azienda, conosciuto anche in Italia. MacGann era responsabile delle politiche aziendali di Uber in Europa, Africa e Medioriente. Lo scandalo di Uber Sudafrica è oggi noto grazie a questa importante indagine di giornalismo investigativo.
Le maggiori responsabilità sono di Travis Kalanick, ex amministratore delegato, silurato nel 2017. I documenti mostrano che, in tutto il mondo, Kalanick ha spinto i suoi dirigenti a dare incentivi agli autisti. Poi ha gradualmente tagliato le loro commissioni e aumentato le percentuali a favore dell’azienda e dei suoi azionisti. In questo modo ha abbassato pesantemente il reddito degli autisti mettendoli in serie difficoltà economiche. Molti non sono riusciti a pagare le rate per l’acquisto delle auto e sono rimasti strozzati dai debiti.
Dopo lo scandalo del 2014 che ha determinato la class action di 550 donne molestate dai taxisti a San Francisco. Oggi vengono alla luce anche in Francia con le pressioni di Uber quando il presidente francese, Emmanuel Macron, era ministro dell’economia. Ma ce n’è anche per l’Italia.
Tra le 44 testate internazionali con cui lavora l’ICIJ, L’Espresso ha l’esclusiva per l’Italia. Secondo l’edizione del 17 luglio scorso, Uber tra il 2014 e il 2016 ha contattato anche il governo di Matteo Renzi. Il mediatore dell’operazione era Carlo De Benedetti già azionista di Uber ed ex editore del L’Espresso. È stata fatta una vera e propria campagna di pressione sul governo italiano: nome in codice “Italy-Operation Renzi”.
Obiettivo dell’Operation Renzi era condizionare la legge sulla concorrenza. L’ex premier ha smentito dicendo di non aver mai avuto contatti diretti con Uber: la questione taxi e trasporti era gestita a livello ministeriale. Ha confermato di non aver approvato nessun provvedimento a favore di Uber.
Provvedimento che il presidente del Consiglio, Draghi, sta facendo passare con un decreto legislativo che garantisca la promozione della concorrenza. Ciò che Uber stava cercando di far entrare dalla finestra riuscirà a passare dall’ingresso principale. Ma senza scrivere il nome dell’azienda.
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