Cornelia I. Toelgyes
19 luglio 2022
Il micidiale virus di Marburg è stato identificato su due pazienti ricoverati a luglio nella parte sud della regione Ashanti in Ghana. Altri test sono poi stati inviati anche all’istituto Pasteur di Dakar, in Senegal, e hanno confermato l’infezione. L’annuncio è stato fatto domenica scorsa dalle autorità competenti di Accra.
I due malati si sono presentati all’ospedale con dolori diffusi su tutto il corpo, febbre alta, diarrea e sangue nelle feci. Inizialmente le loro condizioni non hanno detestato preoccupazione. I medici pensavano si trattasse di una banale gastro-enterite.
L’allarme è scattato quando uno dei due pazienti è morto, la stessa sorte è toccata all’altro, solamente 48 dopo. Immediatamente è iniziata la rincorsa alle persone entrate in contatto con i due malati. Il ministero della Sanità pubblica del Ghana sostiene di aver individuato 98 contatti, tra questi solamente uno presenta sintomi, ma, a quanto pare, le analisi effettuate sul paziente sono risultate negative al temuto virus. Tutti 98 sono comunque attualmente in quarantena.
Ovviamente l’OMS sta monitorando la situazione. Il virus di Marburg, infatti, è una malattia altamente contagiosa, molto simile all’ebola e, come quest’ultima, appartiene alla famiglia dei filovirus.
La grave patologia, che è molto simile all’ebola anche se un pochino più leggera, è stata identificata per la prima volta nel 1967 a Francoforte, Germania e a Belgrado, nell’allora Jugoslavia, dopo una ricerca su scimmie verdi africane importate dall’Uganda. Allora alcuni ricercatori ne furono contagiati.
Il virus è poi riapparso nel 1975 in Sudafrica, nel 1980 e nel 1987 in Kenya, con pochissimi casi, subito isolati. Epidemie più violente sono poi state registrate nella Repubblica Democratica del Congo tra il 1988 e il 2000 e nel 2004 in Angola, con più di un centinaio di morti.
Le ricerche effettuate negli anni hanno escluso che gli esseri umani siano parte del ciclo naturale del virus di Marburg. In sintesi, il contagio avverrebbe per contatto casuale con altri animali infetti. Tuttavia, fino a oggi non è stato identificato l’animale che possa essere serbatoio naturale della malattia, nonostante siano stati analizzati più di 3000 vertebrati e oltre 30 mila artropodi (insetti, zecche, ragni, acari, ecc) E ciò rende molto più difficile l’attuazione di misure preventive.
Secondo OMS, non va escluso il fatto che l’infezione da Marburg possa derivare inizialmente dall’esposizione prolungata in miniere o grotte abitate da colonie di pipistrelli Rousettus.
Sembra sia stato il caso del paziente deceduto un anno fa in Guinea, dove il virus è apparso nell’agosto 2021. Fortunatamente anche allora nessuna persona entrata in contatto con il malato è poi risultata positiva.
Il contagio del microrganismo killer avviene poi per trasmissione diretta da persona a persona, per contatto con i fluidi corporali, il sangue, l’urina, il vomito ma anche le secrezioni respiratorie. Il virus di Marburg non si trasmette durante il periodo di incubazione, che dura da 3 a 9 giorni. Il momento in cui il paziente è più contagioso è invece quello della fase acuta della malattia, soprattutto durante le manifestazioni emorragiche.
La malattia si manifesta in modo improvviso e rapido con forte mal di testa, dolori muscolari e un acuto stato di malessere, febbre alta. Al quinto sesto giorno possono insorgere emorragie da diverse parti del corpo, che spesso portano a esito fatale. Il virus può colpire persone di tutte le età, anche se meno frequente nei bambini. Il tasso di mortalità varia dal 24 all’88 per cento. Finora non esistono vaccini e antivirali validi per combattere questa infezione.
Cornelia I. Toelgyes
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