Massimo A. Alberizzi
Milano, 11 luglio 2022
Esaminando gli investimenti in terreni, fattori di produzione agricoli e prodotti di base, si scopre come tutti gli aspetti del sistema alimentare ucraino e della catena di approvvigionamento siano in mano straniere.
L’Ucraina è un Paese povero, forse il più povero di tutta Europa. La sua agricoltura invece è la più ricca di tutto il continente. Dei suoi 60 milioni di ettari di superficie, il 55 per cento è classificato come terreno coltivabile, la percentuale più alta in Europa. La sua “terra nera” è stata definita “leggendaria”.
Una delle questioni più controverse dall’inizio del processo di riforma agraria, cominciata dopo la caduta dell’impero sovietico nel 1992, è la moratoria stabilita sulla vendita di terreni.
In vigore da poco meno di vent’anni, è stata pensata per impedire che la proprietà della terra passasse sotto il controllo di poche mani. In realtà è accaduto esattamente il contrario.
All’inizio della riorganizzazione, milioni di ucraini che vivevano nei villaggi rurali hanno ricevuto piccoli appezzamenti di terreno (in media quattro ettari) che in precedenza, durante il periodo sovietico, erano di proprietà statale o comunque pubblica.
Ma gli investitori, soprattutto stranieri, si sono resi conto che avrebbero potuto aggirare il divieto di vendita della terra stipulando contratti di affitto.
Così i piccoli proprietari, senza capitali né organizzazioni cooperativistiche comuni che permettessero loro coltivare autonomamente, sono stati costretti ad affittare la loro terra per cifre irrisorie.
In questo modo migliaia di questi appezzamenti si sono gradualmente concentrati, passando sotto il controllo di grandi aziende agricole.
Peraltro il 31 marzo 2020 il parlamento ucraino ha eliminato del tutto il divieto di compravendita dei terreni. Il land grabbing è quindi diventato a questo punto possibile e legale.
Sul porto di Odessa, la cui proprietà come abbiamo sottolineato appartiene alla americana Cargill, la società Sintal Agricolture, formalmente cipriota, indicata nella tabella pubblicata nell’articolo precedente come uno degli investitori stranieri in Ucraina, scrive nel suo sito piuttosto scarno: “Riforniamo numerosi clienti in cinque continenti”.
“Grazie al porto di Odessa come punto d’accesso al mondo – c’è ancora scritto – assicuriamo percorsi di acquisto più rapidi, agevolati dal know-how assai valido del nostro reparto spedizioni”.
Altre società presenti in quella lista lasciano perplessi e stupefatti. La francese Agro Generation nel suo sito web si vanta di condurre “operazioni in modo socialmente responsabile, applicando tecnologie agronomiche avanzate ed economie di scala per creare un’industria agroalimentare sostenibile e redditizia con un approccio globale alla produzione di beni agricoli”.
Sul suo sito inoltre c’è scritto: “In un’epoca di opportunità derivanti dalla crisi alimentare globale, Agro Generation opera su alcuni dei migliori terreni del mondo in Ucraina, un Paese che è già uno dei principali esportatori di cereali e che aumenterà la sua produzione di diverse volte”.
Si resta però sconcertati (e anche un po’ stupefatti) quando in basso sulla home page del sito della società, vengono indicati i partner d’affari. Oltre alla già citata la Glancore e alla molto conosciuta Kernel (che fa parte, dopo vari incastri societari, di un enorme gruppo agroalimentare trasnazionale basato a Singapore), c’è anche un sito di gioco d’azzardo online, Vip Casino.
Che ci fa un partner di questo genere, che imbonisce i clienti per indurli a giocare sul web, accanto a una società che si vanta di operare “in modo socialmente responsabile”, non è chiaro. Il sito casinos.net, inoltre è registrato in Ucraina, ma le sue scritte in cirillico sono in lingua russa. Quindi ci si aspetta che sia rivolto a una clientela russa.
Anche la FAO nei suoi rapporti considera l’Ucraina un Paese dal notevole potenziale agricolo e Christina Plank, nello studio “Land Grabs in the Black Earth: Ukrainian Oligarchs and International Investors” edito nel 2013 dal Transnational Institute (un think tank internazionale di ricerca e difesa senza fini di lucro fondato nel 1974 ad Amsterdam), scrive che quei 32 milioni di ettari di terreni fertili equivalgono a un terzo dell’intera superficie coltivabile dell’Unione Europea.
Non solo. Poi fornisce qualche dato sull’importanza che riveste l’agricoltura nell’economia del Paese: rappresenta l’8 per cento del prodotto interno lordo e dà lavoro al 17 per cento della popolazione attiva. L’Ucraina è il terzo esportatore di mais e il quinto esportatore di grano al mondo.
Nel 2014, quando è stato pubblicato lo studio dell’Oakland Institute, i terreni agricoli ucraini erano soggetti a un blocco commerciale che ne vietava la vendita fino al 1° gennaio 2016.
Nonostante questa moratoria, come scrivono Jettie Word, Alice Martin-Prevel e Frederic Mousseau nel rapporto “Walking on the West Side: The World Bank and the IMF in the Ukraine Conflict”, almeno 1,6 milioni di ettari di terreni agricoli ucraini sono passati in mani straniere. Secondo altri rapporti, solo 10 grandi aziende agroalimentari controllano ben 2,8 milioni di ettari.
Ma sono le conclusioni del rapporto dell’Oakland a inquietare maggiormente. Il 9 ottobre 2014, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) ha annunciato di avere dieci aziende agricole private che nell’ambito di un piano d’azione per il settore appena creato, sono disposte a investire nel 2015 un miliardo di dollari nell’agricoltura ucraina.
Il comunicato stampa della BERS che conteneva l’annuncio, aveva sottolineato che questi investimenti avrebbero richiesto diverse modifiche alla normativa in materia di tasse, leggi sull’importazione e sull’esportazione e vendita di terreni, liberalizzando il più possibile il settore.
Molti altri investitori avevano già richiesto alle autorità ucraine modifiche in questo senso. Nel gennaio 2014 si era già tenuto un incontro tra funzionari ucraini e rappresentanti di venti grandi aziende agroalimentari tedesche. Investiamo sì, ma cambiate la legge in nostro favore.
Secondo notizie pubblicate da agenzie di stampa dell’epoca, si era parlato della necessità “di semplificare le attività commerciali nel Paese” facendo “saltare la moratoria sulla vendita dei terreni”. Altro punto controverso era la richiesta di permettere coltivazioni OGM, anche autorizzando procedure vietate dall’Unione Europea.
Ma già nel 2007 l’ambasciata americana a Kiev aveva chiesto al governo ucraino di prendere provvedimenti contro i venditori di semi “falsi” (con questo indicando le sementi non transgeniche).
Per altro successivamente nel giugno 2011 l’amministratore delegato di Cargill, Greg Page, aveva candidamente dichiarato che l’Ucraina è un “ottimo posto per far crescere più cibo nel mondo. Ma tutti i doni che la natura ci offre possono essere vanificati da politiche sbagliate”. La Cargill è potentissima ed è una delle aziende leader mondiali nella produzione di Organismi Geneticamente Modificati.
Il sito Il Salvagente, che si occupa di truffe ai consumatori, riporta che nel 2019 l’ex deputato americano Henry Waxman ha definito la Cargill la “peggior azienda del mondo” tra l’altro per la sua “ripetuta insistenza nel ostacolare il progresso globale sulla sostenibilità”.
Inoltre la BERS e altre istituzioni finanziarie internazionali spinte da un forsennato liberismo economico fratello della globalizzazione senza freni, per far digerire investimenti a gogo avevano sostenuto che le modifiche normative e le agevolazioni fiscali per le imprese agroalimentari avrebbero migliorato il tenore di vita della popolazione perché sarebbero aumentati gli investimenti stimolando nel contempo la crescita economica.
Tuttavia, non è stato mai chiarito come gli investimenti stranieri avrebbero avuto ricadute positive sulla crescita economica, glissando, almeno in parte, sugli interessi che invece avrebbero mosso le grandi imprese agroalimentari.
Le colture OGM sono state introdotte legalmente sul mercato ucraino nel 2013 e secondo varie stime sono state piantate fino al 70 per cento di tutti i campi di soia, al 10-20 per cento dei campi di mais e a oltre il 10 per cento di tutti i campi di girasole.
Ciò equivale a circa un milione di ettari coltivati a OGM (ovvero il 3 per cento).
L’ingresso dell’Ucraina nella UE rischia di avere un impatto rovinoso se i negoziati per l’adesione non saranno improntati a una tutela delle norme che regolano l’agricoltura dell’Unione. Ad Africa ExPress risulta che multinazionali del settore stiano da tempo esercitando forti pressioni per allargare le maglie degli attuali divieti. Le lobby, insomma, sono in azione.
Ecco così che si manifestano con chiarezza due facce della stessa medaglia: da una parte le democrazie occidentali difettose (in alcuni momenti molto difettose e addirittura mostruosamente goffe) che si muovono per difendere interessi particolari, dall’altra regimi autoritari e repressivi come quello russo di Putin, che praticano soprusi e violenze con conseguenze devastanti. In mezzo, intrappolate tra due fuochi, le popolazioni civili, sudditi inconsapevoli di una guerra che si combatte sulla loro testa.
In Africa il land grabbing ha avuto conseguenze devastanti sull’economia delle campagne e dei villaggi. Si calcola che negli ultimi anni nei Paesi in via di sviluppo, 227 milioni di ettari, una superficie grande quanto l’Europa Occidentale, sia stata data in concessione a società straniere, cinesi e indiane soprattutto, ma anche coreane o europee. Su queste espropriazioni di fatto sono stati scritti fiumi di inchiostro.
Il land grabbing è stato definito un sistema neocolonialista studiato per impadronirsi pacificamente (almeno apparentemente) delle risorse di un Paese. Già, ma queste analisi, spesso impietose, si riferiscono all’Africa, un continente comunque lontano, dove questa pirata è cominciata.
Laggiù i beneficiari non sono – tranne in pochi casi – società occidentali. Certo è bene sapere l’Oakland Institute è politicamente orientato e lotta contro lo sfruttamento dei territori nei Paesi in difficoltà, ovunque nel mondo, ma soprattutto in Africa.
Ma le osservazioni contenute nella sua ricerca, tra l’altro pubblicata molto prima dell’attuale conflitto, sono interessanti e degne di considerazione. Se in Africa il land grabbing è considerato uno strumento politicamente e socialmente deplorevole per i danni che provoca alle popolazioni locali, impoverendole, e perché favorisce i grandi gruppi industriali, per quale regione la stessa pratica invece passa inosservata quando è utilizzata in Ucraina?
Forse sarebbe bene che la politica delle multinazionali agroalimentari diventasse un argomento di riflessione, soprattutto per chi erroneamente crede ancora che la geopolitica della guerra si descriva con la semplice equazione aggressori/aggrediti. Non è così. Le sfumature degli interessi in gioco sono essenziali e vanno capite, osservate e studiate.
Le guerre non vengono scatenate per ottemperare a qualche romantico ideale, ma, molto più materialmente, per difendere affari e prebende. O per impadronirsi di risorse e profitti di altri. Le sfaccettature di una guerra sono spesso inconfessabili.
Anche la semplice osservazione che a scatenare il conflitto sia stata la Russia è assolutamente semplice e naïf. E’ vero che i cari armati russi il 24 febbraio sono entrati in Ucraina, ma la guerra si può provocare in vari modi. Occorre scomodare la storia per spiegare perché Cartagine attaccò Roma? Fu una guerra per l’egemonia nel Mediterraneo. E così, per prevenire le ambizioni romane i cartaginesi attaccarono.
La domanda giusta da porsi non è chi ha scatenato la guerra (cui è facile rispondere con disarmante semplicità, “la Russia”), ma a chi giova questa guerra. Rispondendo a questa questione si riescono a chiarire responsabilità, cause ed origini e affinare i giudizi ora troppo spesso improvvisati e abborracciati.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
(2 – fine)
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