Ci ha lasciato improvvisamente Amedeo Ricucci: raccontava le guerre cercando di capire il perché del dolore e della devastazione

E' morto nella sua Calabria dove era andato per un reportage

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Speciale Per Africa ExPress e per Senza Bavaglio
Claudia Svampa
Roma, 11 luglio 2022

Ci ha lasciati oggi Amedeo Ricucci, giornalista Rai e inviato speciale nelle più calde aree di conflitto degli ultimi venti anni: Algeria Bosnia, Ruanda, Somalia, Afghanistan, Kosovo, Libano, Iran, Iraq, Palestina, Tunisia, Libia e Siria.

Ci ha lasciati, dalla sua Calabria, mentre lavorava al suo ultimo servizio. Dopo aver dedicato un’intera vita a raccontare gli orrori delle guerre secondo le regole di un giornalismo autorevole e competente: con attenzione, equilibrio, approfondimento, serietà e lealtà.

Amedeo Ricucci sul campo

Appena un mese fa aveva realizzato per Rai1 il reportage “Fame” in collaborazione con Cesvi Onlus, Fao, WFP e Azione contro la Fame in Italia, dando voce a chi incessantemente opera per contrastare la fame e la malnutrizione dei più deboli.

E qualche mese prima era stato tra gli 11 inviati di guerra firmatari della lettera aperta contro la disinformazione che spesso ha accompagnato le cronache del conflitto tra Russia e Ucraina.

Amedeo, scomparso prematuramente, mancherà a tutti noi: ai suoi familiari, agli amici, ai colleghi. Ma mancherà molto anche al giornalismo italiano. La sua voce autorevole, rispettosa e audace, espressione di una passione professionale sana e profonda, vogliamo ricordarla con le sue e non le nostre parole.

È un post che ha pubblicato sul suo profilo Facebook lo scorso 20 marzo, in occasione della ricorrenza dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, e che riportiamo integralmente in corsivo, dove con amarezza ripercorre il disagio di assistere al degrado e al pressappochismo del “mercato della notizia”.

Fino a ieri era solo un post tra i tanti nelle nostre bacheche virtuali.

Da oggi invece, usando un termine militare a lui aduso, possiamo leggerlo come una “lettera testamentaria” al mestiere dell’inviato di guerra.

Ciao Amedeo, e grazie per quanto ci hai lasciato.

Claudia Svampa 

“Oggi, 28 anni fa – era il 20 marzo del 1994 – morivano a Mogadiscio Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Eravamo partiti assieme dall’aeroporto militare di Pisa una decina di giorni prima e nel nostro gruppo di giornalisti c’era anche Raffaele Ciriello, che morirà poi anche lui a Ramallah il 13 marzo del 2002. Anche per questo di quel viaggio mi resta dentro una tristezza infinita, un senso di vuoto incolmabile, e poi l’idea che il nostro sarà pure un lavoro bellissimo, che dà grandi soddisfazioni, ma è anche un lavoro maledetto, che ti espone a dei rischi che a volte – solo a volte, mi dico, ma ahimè sempre di più – non è detto sia il caso di correre.

Non ne vale la pena – mi viene da pensare – perché il valore e l’esempio della testimonianza sul campo, quella che il giornalista incarna – anche a rischio della sua vita – è ormai un fatto residuale, sempre meno apprezzato, ridotto anzi a un orpello di cui il mercato delle notizie può fare a meno: tanto oggi “uno vale uno” e i leoni da tastiera, brillanti-spigliati-scafati, la fanno da padroni ed hanno facilmente il sopravvento su chi invece consuma la suola delle sue scarpe per andare a cercarsele le notizie, per verificarle con scrupolo e per contestualizzarle e inserirle nella giusta prospettiva.

Mi ricordo che quando da Aleppo, nel 2012, postavo su un sito RAI i video delle “barrel bombs” che mi cadevano sulla testa e con cui il macellaio Assad massacrava il suo popolo c’era una lunga sfilza di commenti che mettevano in dubbio o addirittura sbeffeggiavano il mio lavoro, dicendo che quelle immagini – che giravo con la mia telecamera – erano un falso.

Allora non me ne capacitavo, poi ho capito e adesso vedo che è la norma: vedo che c’è un gioco perverso che consiste nel metter in dubbio tutto quello che ti viene raccontato, anche da giornalisti seri ed onesti, e questo solo per sentirsi più intelligenti degli altri o più furbi.

Beh, io non ci sto. Non pretendo di avere la verità in tasca, così come non la pretendevano Ilaria, Miran, Raffaele e i giornalisti  morti in Ucraina e in tutte le altre guerre. Ma il rispetto, sì, lo pretendo. Per loro, prima che per me, e per tutti quelli che ancora ci provano a fare questo mestiere con onestà, dedizione, passione e spirito di sacrificio”.

Amedeo Ricucci

La guerra di propaganda fa un’altra vittima eccellente: il giornalismo

 

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