Massimo A. Alberizzi
Milano, 4 luglio 2022
Ma di chi è il grano prodotto dell’Ucraina e bloccato nei silos senza possibilità di essere esportato, in Africa soprattutto? Un rapporto della Oakland Institut, anche se un po’ datato (è del 2014), spiega come alcune le imprese agroalimentari transnazionali stavano investendo sempre di più in Ucraina e come stavano prendendo il controllo di tutti gli aspetti del sistema agricolo ucraino. Tra le altre le americane Monsanto, Cargill e Du Pont.
Le imprese, sostiene il rapporto, sono riuscite ad aggirare i divieti sulle compravendite dei terreni e le norme che regolano l’investimento in strutture per la produzione di sementi, l’acquisizione di impianti per la lavorazione e il trasporto delle materie prime.
Ma non solo. Alla domanda, a chi appartiene il terminal del porto di Odessa rispondono le notizie di economia e finanza facilmente reperibili anche online.
Il 16 luglio 2021, cioè esattamente un anno fa, una delle società interessate all’acquisto dei terreni agricoli ucraini, la Cargill (società a conduzione miliare più grande del mondo, con sede in Minnesota e non quotata in borsa), è diventata proprietaria del 51 per cento della joint venture Neptune, possessore del terminal più profondo del Mar Nero.
Lo scalo portuale nelle acque di Odessa è utilizzato dagli agricoltori ucraini come punto di partenza altamente competitivo sui mercati cerealicoli mondiali. E, secondo i programmi, avrebbe consentito di incrementare ulteriormente la produzione di grano e mais.
La guerra del grano è un tassello che nessuno ha ancora analizzato nella giusta dimensione e piazzato al posto corretto nel mosaico del conflitto tra Stati Uniti e Russia in corso in piena Europa.
Un tassello che mostra come sia semplicistica e superficiale la narrazione di una guerra descritta come uno scontro tra aggrediti (gli ucraini) e aggressori (i russi).
La guerra del grano viene liquidata con la battuta: “Bastardi i russi che affamano mezzo mondo bloccando l’esportazione dei cereali”. Oppure: “L’africa muore di fame perché i russi impediscono agli ucraini di inviare a chi ne ha bisogno il proprio grano”.
La geopolitica è così. E’ una composizione di diversi elementi, ciascuno dei quali riveste un’importanza sia particolare, sia generale. Come le previsioni del tempo alcune variabili compaiono improvvisamente e scombussolano tutte le analisi e i pronostici validi fino a un attimo prima.
Forse è proprio analizzando gli interessi agricoli che si possono trovare alcune delle motivazioni che hanno portato alla guerra.
L’interesse delle grandi imprese agroalimentari per i terreni agricoli ucraini non sorprende. Il Paese è da secoli conosciuto come il “granaio d’Europa” e ospita oltre 32 milioni di ettari di terreni incredibilmente fertili (e coltivabili), noti come black soil, cioè “terra nera” (il termine tecnico è chernozem). Ovviamente la collettivizzazione sovietica non ha permesso uno sviluppo adeguato e uno sfruttamento intensivo delle risorse disponibili.
Il direttore regionale della Du Pont Europa, Jeff Rowe, all’epoca aveva infatti dichiarato: “L’agricoltura Ucraina è in rapidissima crescita mondiale ed è diventata un attore importante della sicurezza alimentare globale”. Ovvio che le multinazionali dell’agricoltura abbiano preso al volo una buona opportunità di business.
L’Oakland Institut nel suo rapporto del 2014, pubblica anche una scheda piuttosto significativa che illustra dettagliatamente la portata degli investimenti agroalimentari su larga scala in Ucraina dal 2010, da parte di società multinazionali.
I dati non sono recentissimi; risalgono a poco meno di dieci anni fa, ma si può vedere come già allora gli interessi agricoli verso l’Ucraina fossero rilevanti. Alcune di queste società non esistono più, come la Mriya Agro Holding Public Limited, che peraltro a Cipro aveva solo la sede legale, mentre altre come la Kernel Holding spa, lussemburghese, sono sussidiarie di altre compagnie: la Kernel in realtà appartiene alla Kopernik Global Investors, con sede a Tampa in Florida.
Si noti la presenza del fondo sovrano dell’Arabia Saudita lo strumento di investimento pubblico statale più ricco e importante del mondo.
Una storia a sé meriterebbe la Glencore Xstrata che il 2 maggio 2013 era stata interamente acquisita dalla Glencore, la chiacchierata società gigante delle commodities, fondata nel 1974 da Marc Rich con sede a Baar, nel cantone di Zug, in Svizzera, assai vantaggioso perché quasi esentasse.
Marc Rich era un commerciante internazionale di materie prime, gestore di fondi speculativi, finanziere e presunto criminale finanziario.
Era soprannominato “il fuggitivo più famoso del mondo”. Incriminato negli Stati Uniti con l’accusa federale di evasione fiscale per 48 milioni di dollari, frode telematica, racket e accordi petroliferi con l’Iran durante la crisi degli ostaggi iraniani, insomma più o meno 60 capi d’accusa, rischiava 300 anni di carcere. Per evitare di finire in cella, era quindi riparato in Svizzera.
Il 20 gennaio 2001, il giorno della scadenza del suo mandato presidenziale, Bill Clinton gli ha concesso la grazia, criticata da molte parti. Poco dopo venne rivelato che Rich, attraverso la sua ex moglie Denise, aveva finanziato il Partito Democratico e la fondazione che porta il none dell’ex presidente.
Massimo A. Alberizzi
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(1-continua)
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