Cornelia Toelgyes
Bruxelles, 20 giugno 2022
In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha chiesto 426 milioni di dollari per rispondere alle necessità delle persone in fuga da guerre, violenze, cambiamenti climatici.
I fondi scarseggiano, la guerra in Ucraina ha fatto lievitare ovunque nel mondo il costo della vita, già fortemente colpito dalla pandemia e da cambiamenti climatici. E, proprio a causa dei problemi economici, il PAM ha già iniziato a ridurre gli aiuti in Africa e si prevede che la situazione potrebbe peggiorare ancora.
Il PAM dovrà ridurre del 50 per cento degli aiuti destinati ai rifugiati nell’Africa dell’Est (soprattutto in Etiopia, Kenya, Sud Sudan e Uganda) dove si trovano attualmente la maggior parte delle persone vulnerabili sostenute dall’organizzazione.
David Beasley, direttore esecutivo di Programma ha specificato che anche in altri Paesi, come Burkina Faso, Mali, Niger e Mauritania, l’assistenza alle persone vulnerabili sarà notevolmente ridotta.
“La sopravvivenza dei rifugiati dipende in gran parte da noi. Purtroppo le risorse disponibili non riescono a soddisfare la crescente necessità di cibo nel mondo intero”, ha specificato Beasly.
L’offensiva della Russia contro l’Ucraina – che insieme rappresentano il 30 per cento delle esportazioni globali dei cereali – ha portato a un’impennata dei costi del grano e del petrolio, con prezzi che hanno superato quelli della primavera araba del 2011 e delle rivolte alimentari del 2008. L’ONU teme “un uragano di carestie”, soprattutto nel continente africano che importa gran parte del grano dai due Paesi ora in guerra.
Ma non sono solo i migranti a essere in pericolo, anche grandi fette di popolazione in diversi Paesi sono a rischio carestia. In Somalia è una corsa contro il tempo, oltre 200.000 persone sono esposte alla peggiore siccità degli ultimi 40 anni. “Dobbiamo agire immediatamente per evitare una catastrofe umanitaria”, ha fatto sapere El-Khidir Daloum, responsabile di PAM nel Paese, dove la vita dei più vulnerabili è minacciata da malnutrizione e fame.
La quasi totale assenza di piogge sta provocando una crisi senza precedenti nel Corno d’Africa, in particolare Etiopia, Kenya e Somalia. Per il momento PAM sta cercando di concentrarsi soprattutto sulla nostra ex colonia, per evitare che si ripeta la crisi del 2011, che aveva causato la morte di 260 mila persone.
Alcune zone della Somalia sono particolarmente esposte, specie il sud del Paese, per la presenza dei terroristi al-Shebab, che spesso impediscono il passaggio dei convogli umanitari.
Anche il Ciad è pesantemente toccato dalla crisi e il governo ha decretato l’emergenza alimentare già all’inizio del mese, proprio per l’assenza di cereali provenienti dall’Ucraina. “E’ in atto un peggioramento costante dello stato nutrizionale della popolazione” hanno fatto sapere le autorità di N’Djamena in un breve comunicato rilasciato il 2 giugno scorso e il presidente della giunta militare al potere, Mahamat Idriss Déby Itno, ha chiesto aiuto a tutti gli attori nazionali e internazionali per far fronte alla crisi.
Ma in Ciad la situazione non dipende solo dal conflitto attuale tra Mosca e Kiev. Secondo l’ONU, già nel 2021 un terzo della popolazione ciadiana, ossia 5,5 milioni di persone, versava in stato di necessità e dipendeva da aiuti umanitari.
E che dire della situazione del Bacino del Lago Ciad, le cui sponde comprendono quattro nazioni, Camerun, Niger, Nigeria e Ciad. Dopo ben 13 anni di violenze, 11 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari, tra questi 4,1 milioni sono confrontati con insicurezza alimentare e oltre 300 mila bambini soffrono di malnutrizione grave. Oltre mille scuole sono chiuse per i continui attacchi da parte dei terroristi, privando così migliaia di giovanissimi dell’istruzione.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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