Speciale per Africa-ExPress
Luciano Bertozzi
Maggio 2022
Nel 2021 e spese militari africane sono cresciute dell’1,2 per cento rispetto all’anno precedente, per un ammontare complessivo stimato in 39,7 miliardi di dollari.
Tali spese sono divise quasi a metà fra Africa subsahariana (51 per cento) e Africa settentrionale (49 per cento). Lo afferma il SIPRI, il prestigioso istituto di ricerca sulla pace e sul disarmo di Stoccolma, nel suo rapporto Trends In World Military Expenditure del 2021.
Nel corso del decennio 2012-21, la spesa del continente ha seguito tre distinte tendenze: nel periodo 2012-2014 è aumentata continuamente, per poi calare fino al 2018, mentre negli ultimi 3 anni, è salita a 20,1 miliardi di dollari (+2,5 per cento).
NORDAFRICA
Nel 2021, la spesa militare nel Nordafrica è stata pari a 19,6 miliardi di dollari, (-1,7 per cento rispetto al 2020 ma + 29 per cento rispetto al 2012). Tuttavia questi dati sembrano destinati a crescere per le tensioni tra Algeria e Marocco, connesse all’ex Sahara spagnolo, e peggiorate nel 2021.
L’anno scorso, ad ogni modo, Algeri ha speso 9,1 miliardi di dollari (- 6,1 per cento nel 2021). Tale livello colloca il Paese al primo posto fra quelli africani ed al ventiseiesimo posto mondiale (due posizioni in meno rispetto al 2020) ed l’unico Paese del continente fra i primi quaranta. Il suo rivale, il Marocco, ha speso 5,4 miliardi di dollari (+3,4 per cento).
AFRICA SUBSAHARIANA
Nel 2021, la spesa militare nell’Africa subsahariana è aumentata del 4,1 per cento rispetto al 2020. Va sottolineato che è il primo incremento della regione dal 2014. In testa alla classifica dell’Africa a sud del Sahara è la Nigeria. Abuja ha speso 4,5 miliardi di dollari (+56 per cento rispetto al 2020). La notevole crescita è dovuta alle sfide poste da Boko Haram e da altre milizie islamiste, che hanno seminato il terrore fra la popolazione civile.
AFRICA AUSTRALE
Si stima che la spesa militare del Sudafrica sia stata di 3,3 miliardi di euro, (-13 per cento). La diminuzione è connessa alla difficile situazione economica, anche a causa del covid-19.
Ai posti successivi della classifica troviamo, rispettivamente, Kenya, Uganda e Angola. Nel periodo 2012-21, Nairobi e Kampala hanno dovuto affrontare insurrezioni che hanno condizionato l’entità della spesa militare.
Mentre il Kenya l’ha ridotta del 4,5 per cento, l’Uganda, invece, l’ha raddoppiata nel decennio (+203 per cento). Anche l’Angola le ha diminuite del 66 per cento. Il calo si spiega con la riduzione della produzione petrolifera e la diminuzione del prezzo del greggio nell’ultimo decennio.
A livello mondiale, la spesa militare 2021, anno caratterizzato della pandemia, ha superato i 2.100 miliardi dollari, in crescita per il settimo anno consecutivo (+0,7 per cento).
Gli USA sono al primo posto della classifica con ben 801 miliardi (-1,4 per cento rispetto al 2020) Al secondo posto troviamo la Cina, con 293 miliardi, (+4,7 per cento). Continua dunque il trend di crescita in vigore da tanti anni; Stati Uniti e Cina da soli rappresentano poco più della metà del totale mondiale (52 per cento).
Il riarmo di Pechino ha spinto altri Paesi del Pacifico a fare altrettanto: come il Giappone, che ha speso 7 miliardi di dollari (+7,2 per cento, registrando il livello più alto da cinquanta anni.
Al terzo posto della classifica c’è l’India con 76,6 miliardi, seguita dal Regno Unito con 68,4 miliardi e dalla Russia. L’anno scorso Mosca ha speso 65,9 miliardi di dollari, (+2,9 per cento e +11 per cento nel decennio), ossia il 4,1 per cento del PIL.
La spesa militare russa è cresciuta per il terzo anno consecutivo, grazie ai notevoli incassi per le esportazioni di petrolio e gas.
Per quanto riguarda il nostro Paese, l’Italia si colloca all’11° posto con 32 miliardi di dollari, (+4,6% in più rispetto al 2020 e +10% in più rispetto al 2012). E’ evidente una scelta politica di privilegiare l’industria militare per risollevare il Paese, nonostante la crisi sanitaria, economica e sociale derivante dal covid-19.
Ma come dimostra il caso dell’Ucraina, fornire armi a Paesi belligeranti non risolve le controversie internazionali, moltiplicano i lutti e le sofferenze dell’inerme popolazione civile. Va quindi modificata l’agenda mondiale che pone al primo posto risposte militari alle tante tensioni internazionali.
Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it
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