Freetown, 26 maggio 2022
C’è molto pubblico oggi su un tratto di spiaggia in Sierra Leone, dove un gruppo di sostegno ha improvvisato un campo di calcio per persone speciali.
Tutti giocatori sono, privi di un arto. Per molti tra loro sono i ricordi di un atroce conflitto interno che si è consumato nel Paese dal 1991 al 2002, costata la vita a oltre 120 mila persone. A qualche altro componente della squadra, invece è stata amputata una gamba o un braccio in seguito a un incidente stradale o altro.
Grazie all’Associazione Single leg (una sola gamba, n.d.r.), Sheku Turay, oggi 37enne, e altri come lui, hanno ritrovato fiducia in se stessi, la voglia di vivere, di affrontare la quotidianità. E Sheku, con gli occhi lucidi, ha detto: “Quando gioco a calcio, mi sento qualcuno”.
Sheku è privo di una gamba, in campo si sposta velocemente con due stampelle. Controlla bene il pallone, cerca di trovare l’equilibrio giusto, per calciarlo in rete, e ce la fa. Quando centra la rete gli applausi degli spettatori sono interminabili. E anche il portiere, con un braccio solo, regala una pacca e un sorriso al suo avversario.
“Ero un ragazzino di soli 12 anni – racconta Sheku – quando i ribelli hanno attaccato il mio villaggio. I medici hanno dovuto amputarmi la gamba per salvarmi la vita. L’arto stava andando in cancrena”.
Certo, la vita non è facile per i disabili in Sierra Leone, uno tra i Paesi più poveri al mondo, dove oltre la metà della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Qui le persone con handicap vengono ancora derise, additate, discriminate. La società non è pronta a considerarle semplicemente come diversamente abili.
Tutti i componenti della squadra sostengono che il governo dovrebbe mostrare maggiore interesse per i disabili, aprire istituti professionali specializzati e garantire accesso gratuito a istruzione e cure mediche, tutte questioni fortemente raccomandate dalla Commissione Verità e Riconciliazione.
L’organismo, istituito per svolgere indagini sul conflitto, in un rapporto del 2004, aveva ritenuto inoltre, che ad alcune categorie di persone, tra cui gli amputati, spettasse un risarcimento da parte del governo. Da allora, secondo quanto riporta la Commissione nazionale per le persone disabili, su 32.000 cittadini ritenuti idonei a un compenso, poco più di 20.000 hanno ricevuto un indennizzo da un minimo di 66 a un massimo di 189 euro.
Sheku lavora come sarto in un laboratorio a Kamayama, una periferia di Freetown, la capitale del Paese. Tornare a casa dopo una lunga giornata di lavoro è davvero un’impresa: deve farsi strada tra cumuli di detriti e rami secchi fino alla sua piccola abitazione, una capanna di una sola stanza, sul fianco di una collina.
“Risparmio tutto quello che posso, vorrei aprire un piccolo negozio, non ho mai ricevuto nessun sostegno da parte del governo o da qualche organizzazione. A differenza di altri disabili che chiedono l’elemosina per strada, lavoro sodo per essere indipendente”, racconta il giovane.
Oggi la squadra di calcio conta 70 giocatori e comprende anche una decina di donne, tutti privi di almeno un arto. Il club è stato fondato dal pastore Mamoudi Samai nel 2002, subito dopo la guerra. Ancora oggi il religioso sostiene finanziariamente la squadra.
Con gli anni Single Leg ha anche creato una fattoria biologica che dista una trentina di chilometri dalla capitale. La piccola impresa agricola dà lavoro e cibo a un gran numero dei giocatori. Anche il direttore, Lahai Makieu, oggi quasi cinquantenne, ha perso una gamba durante la guerra civile.
Il vecchio Centro Nazionale di Riabilitazione di Freetown ormai non si occupa più delle vittime di guerra; oggi i pazienti sono per lo più reduci da poliomielite, incidenti stradali o hanno subito amputazioni a causa del diabete, specifica Abdulrahman Dumbuya, chirurgo ortopedico e vicedirettore del centro.
L’istituto realizza anche protesi, applica tariffe basse, ma le cure non sono gratuite. “Ci mancano il personale e le attrezzature per realizzare gli arti artificiali”, lamenta Dumbuya.
Africa ExPress
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