Francesca Canino
16 maggio 2022
Uccisa due volte. E non è la trama di un film di Hitchcock, ma si presume sia l’ennesimo fatto di sangue perpetrato dagli israeliani sui palestinesi. L’11 maggio scorso, la giornalista palestinese-americana corrispondente di “Al Jazeera”, Shireen Abu Akleh, ha perso la vita a Jenin mentre documentava un’operazione militare israeliana.
I palestinesi hanno subito accusato gli israeliani di averla uccisa durante gli scontri nella città della Cisgiordania. Gli israeliani, invece, hanno risposte alle accuse sostenendo di non poter stabilire se fosse stata deliberatamente uccisa o se si fosse trattato di un incidente causato dalla sparatoria tra i miliziani e i soldati.
A suffragare le accuse mosse dai connazionali di Shireen sono stati gli stessi israeliani con l’attacco alla bara della giornalista e ai partecipanti durante i funerali. Le immagini che hanno fatto il giro del globo hanno mostrato l’intervento a colpi di bastone della polizia sulla folla al seguito del feretro, che ha rischiato di cadere dalle spalle dei portantini. Una violenza che si è sommata a quella dell’omicidio e che ha ucciso per la seconda volta Shireen.
A distanza di pochi giorni, la portavoce della Casa Bianca ha definito le immagini del funerale “inquietanti” e la comunità internazionale si è detta “sconvolta”. In conseguenza a ciò, la polizia israeliana ha fatto sapere che avvierà delle indagini su quanto accaduto. Questi i fatti, al di là dei quali rimangono interrogativi e problemi mai risolti, incentrati sulla volontà di voler annientare i palestinesi anche quando sono già morti.
“La voce della Palestina”, come era definita Shireen Abu Akleh, probabilmente non otterrà mai giustizia, così come senza giustizia è lasciata la sua gente da oltre mezzo secolo, assediato dagli israeliani e senza possibilità di trovare una soluzione che non scontenti nessuno. Neanche i cosiddetti “grandi della terra” sono riusciti a far trionfare la pace tra i due popoli, intenti a portare avanti una sfida infinita, imperniata da una parte sulla negazione dell’identità palestinese, dall’altra sulla difesa di confini, riconoscimenti, diritti.
Ora, tra le prevaricazioni storico-politiche che caratterizzano il Medio Oriente si è inserita la vita di una sfortunata giornalista, caduta sul campo delle operazioni militari per svolgere il suo lavoro. Un triste episodio che introduce un altro problema, quello dei giornalisti senza tutele, spesso mandati allo sbaraglio nelle zone calde o a indagare negli intrighi politici ed economici, ovvero nel mondo dell’indicibile, manovrato dalle oscure forze che sopprimono chi vi si addentra.
Il paragone con i giornalisti ufficiali al seguito degli eserciti sul fronte di guerra o con quelli a libro paga di qualche politico è immediato. E rattrista chiunque crede ancora in questo mestiere e si batte ogni giorno per divulgare i fatti così come accadono. Per questi motivi Shireen deve ottenere giustizia, chi l’ha uccisa e chi ha cercato di far cadere la sua bara non devono rimanere impuniti. Lo si deve a un popolo e ad una categoria di lavoratori.
Francesca Canino
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