Vi proponiamo qui, tradotto in italiano, un articolo del Washington Post sui rischi di una narrazione a senso unico della guerra. (In fondo al testo trovate il link della versione originale in inglese). Il quotidiano americano si pone gli stessi dubbi che ci poniamo noi con quella lettera aperta pubblicata nei giorni scorsi.
Anche il Post scrive che è pericoloso descrivere la guerra in modo unilaterale. Le notizie lanciate da “traballanti filmati di civili attira l’indignazione dell’opinione pubblica che spinge gli alleati a rifornire di armi l’Ucraina”, sostiene il giornale di Jeff Bezos.
Ci consola che qualcuno di molto molto più prestigioso di noi affronti il tema della guerra in Ucraina in termini problematici e ci piacerebbe che tutti i sedicenti intellettuali che pontificano dai loro comodi salotti televisivi e non, si armassero di sana umiltà e cercassero di analizzare la guerra in corso con gli strumenti di chi le guerre le conosce e le ha vissute.
I rischi della strumentalizzazione dell’informazione e delle notizie che possono essere divorate dalla propaganda sono concreti, come sottolinea l’interessante riflessione del Post che, guarda caso, suona in sintonia con quanto abbiamo provato a sottolineare anche noi. Anche Bezos è putiniano?
P.S. Spiace che un commentatore televisivo autorevole come Aldo Grasso, prima faccia i complimenti a Toni Capuozzo per il suo ultimo reportage (“1992-2022, Ritorno all’inferno”) e poi lo critichi per aver firmato la nostra lettera aperta: non è nel suo stile!
m.a.a
Dal Washington Post
Hannah Allam
Washington, D.C., Aprile 2022
Le immagini scorrono come una proiezione di diapositive distopiche: Agricoltori ucraini che tirano fuori dalla terra nera i carri armati russi abbandonati. Corpi ed edifici distrutti dagli attacchi aerei. Una giovane donna che scherza sul fatto che il cibo dei bunker è l’apice della buona cucina. I volti sconvolti dei rifugiati.
Le scene sono condivise online da ucraini comuni che, come i civili in altri conflitti dell’era digitale, forniscono scorci viscerali della vita sotto assedio, specialmente in aree inaccessibili a giornalisti e operatori umanitari.
Le prime informazioni sugli orrori a Bucha, il sobborgo di Kiev da cui le forze russe si sono ritirate la scorsa settimana, sono arrivate attraverso filmati traballanti registrati mentre i civili emergevano dalla clandestinità con il ritorno delle truppe ucraine.
Questi resoconti, dicono gli osservatori internazionali, hanno contribuito a plasmare la comprensione del pubblico occidentale dell’invasione russa come una guerra di logoramento da incubo, con Mosca che affronta battute d’arresto contro una dura resistenza.
Questa narrazione attira l’indignazione, che a sua volta spinge gli alleati a fornire all’Ucraina armi che potrebbero far pendere la bilancia militarmente, o almeno rafforzare la mano negoziale di Kiev nei colloqui di pace.
“Lo abbiamo visto per la prima volta nella guerra in Siria, e nel 2014 a Gaza, e lo stiamo vedendo in Ucraina proprio ora. La dinamica del potere si è spostata – ha sottolineato Olga Boichak, docente e studiosa di guerra digitale presso l’Università di Sydney in Australia -. In un certo senso, i militari hanno perso il dominio nell’inquadrare la guerra, e in questo momento i civili stanno in gran parte determinando come questi eventi passeranno alla storia”.
I civili hanno sempre avuto un ruolo nel documentare i conflitti e le crisi umanitarie, ma l’avvento dei social media ha portato una velocità e una portata senza precedenti. Nell’ultimo decennio, dicono gli analisti militari e dei media, la “testimonianza dei cittadini” si è evoluta in una forza potente a causa della sua capacità di rompere l’apatia pubblica, verificare la propaganda ufficiale e creare un tesoro digitale di prove per potenziali indagini sui crimini di guerra.
Tuttavia, gli analisti hanno aggiunto, ci sono anche dei limiti, tra cui le difficoltà nel verificare il materiale e capire se queste schegge dal fronte sono rappresentative di un conflitto più ampio.
È facile che le complessità si perdano nelle reazioni emotive nel vedere la guerra attraverso immagini disgiunte del suo tributo umano, ha spiegato Rita Konaev del Center for Security and Emerging Technology della Georgetown University.
“La nebbia della guerra, la selettività nella segnalazione, l’incentivo a presentare certe informazioni e a nasconderne altre sono fattori che contano, e penso che sia qui che la percezione pubblica si allontana dai dettagli”, ha chiarito Konaev.
Eppure, Konaev ha sottolineato che, anche con le avvertenze, è straordinario guardare ciò che lei chiama “la storia della gente” della guerra scritta da terra, in tempo reale, attraverso migliaia di post sui social media.
“Abbiamo affrontato molti disastri e guerre precedenti con questo presupposto: se la gente sapesse, farebbe qualcosa, aiuterebbe – ha detto Konaev -. Beh, non possiamo più dire che non lo sapevamo”.
Gli studiosi dei media stanno monitorando la testimonianza civile dell’Ucraina mentre studiano considerazioni etiche sulla privacy e la sicurezza, così come su come il contenuto viene visualizzato online e la sua vulnerabilità allo sfruttamento del governo. Fino a che punto i filtri e la musica sui post dei social media distorcono la testimonianza? Come gestire i casi in cui i filmati amatoriali violano potenzialmente il diritto internazionale, per esempio filmando i prigionieri di guerra o usandoli per scopi propagandistici?
Stuart Allan, professore di giornalismo presso l’Università di Cardiff in Galles, che ha scritto molto sui contributi civili al reporting di crisi, ha spiegato che la tendenza riposiziona il giornalista come mediatore, verificando e completando le testimonianze grezze. “In assenza di una narrazione generale che metta insieme questo materiale e gli dia un senso, lo collochi nel contesto, si occupi di ciò che è corretto e di ciò che è fuorviante, si ottiene questa serie sparpagliata di pezzi diversi – è il pensiero di Allan -. Sta a voi guardare a fondo questo materiale e giudicarlo attraverso la vostra impressione personale per un periodo di tempo”.
I video e i post della gente sono anche strettamente monitorati da una comunità di investigatori scientifici che setacciano i post, che considerano come “OSINT”, o intelligence open-source, alla ricerca di dettagli su munizioni, movimenti delle truppe russe e abusi dei diritti umani.
“Stiamo tutti vivendo la parodia di Bucha ora e vediamo che i video di strada vengono correlati con le immagini commerciali aeree per tempo e per luogo, per cercare almeno di mentire alla narrativa russa”, ha detto Robert Cardillo, ex direttore della National Geospatial-Intelligence Agency degli Stati Uniti che ora è un alto dirigente della Planet, un’azienda commerciale coinvolta nel lavoro OSINT sull’Ucraina.
Durante l’era Obama, Cardillo è stato un alto funzionario dell’intelligence che per anni ha condotto il briefing quotidiano del presidente. Un giorno di agosto del 2013, ha ricordato Cardillo, era seduto a Liberty Crossing, il complesso dell’intelligence statunitense in Virginia, quando ha visto un servizio televisivo che mostrava filmati su YouTube di civili siriani in preda alle convulsioni durante quello che è stato poi confermato come un attacco mortale di gas alla periferia di Damasco.
“Ero lì nel centro della comunità di intelligence degli Stati Uniti e la mia prima indicazione, la mia prima informazione è arrivata attraverso quell’input di YouTube e quelle notizie via Twitter”, ha raccontato Cardillo.
Allan, l’analista di media, ha spiegato che l’idea di “citizen journalism” è stata resa comune in seguito allo tsunami del 2004 nel sud-est asiatico, dove i sopravvissuti hanno documentato la devastazione nelle aree inondate attraverso i siti di social media allora nascenti.
Allan e altri analisti hanno da allora abbracciato il termine “citizen witnessing”, che comprende filmati che provengono da persone che semplicemente “si trovano nel posto sbagliato al momento giusto”, come dice Allan, così come i tentativi deliberati di documentare le ostilità.
La pratica ha attirato maggiore attenzione quando è diventata un modo decisivo per i civili di condividere le loro storie durante le ribellioni della primavera araba e le guerre derivate in Libia e Siria.
Un gruppo di attivisti siriani, Raqqa Is Being Slaughtered Silently, nel 2015 ha vinto il premio per la libertà di stampa assegnato dal Committee to Protect Journalists per aver documentato gli abusi dei militanti dello Stato Islamico che hanno preso il controllo della città.
In questi giorni, il citizen witnessing si sta evolvendo di nuovo con la guerra in Ucraina, dove i filmati del campo di battaglia competono con i resoconti dei testimoni che sono abilmente montati, completi di musica e sottotitoli, per il trattamento TikTok.
Battute e facezie sono spruzzate tra le immagini stomachevoli sui canali Telegram che sono visitati da milioni di persone in tutto il mondo in cerca di aggiornamenti non filtrati.
Allan e altri analisti sostengono che i pregiudizi razziali e culturali occidentali sono una grande parte del motivo per cui gli ucraini hanno attirato un’effusione di simpatia in un modo che i civili in, diciamo, Yemen o Afghanistan, non hanno.
Un’altra ragione per la popolarità delle testimonianze del citizen journalism, spiega Allan, è la percezione, soprattutto tra il pubblico giovane, che le notizie tradizionali troppo spesso sterilizzano la guerra o oscurano le atrocità.
“Vogliono vedere il momento reale in cui un carro armato viene distrutto da un missile di fabbricazione britannica, e TikTok permette loro questo tipo di visione – volgarizza Allan -. Ti mostra, ‘Questo è l’aspetto dei macabri orrori della guerra da vicino. Non è terribile?’”
Le regole di TikTok lo descrivono come “una piattaforma che celebra la creatività ma non il valore d’urto o la violenza”, notando un divieto di contenuti ritenuti “gratuitamente scioccanti, grafici, sadici o raccapriccianti”.
Questo sembrerebbe applicarsi a filmati che mostrano potenziali crimini di guerra come la tortura o le uccisioni extragiudiziali – scene che appaiono regolarmente su Telegram e Twitter. I gruppi umanitari si fanno sempre più sentire nei loro appelli affinché le aziende di social media siano più trasparenti su come filtrano le immagini al pubblico, e cosa succede ai filmati ritenuti troppo violenti e racapriccianti da pubblicare. Alcuni attivisti chiedono un “armadietto delle prove digitali” centrale in caso di future indagini.
“L’ultima cosa che si vuole fare è traumatizzare le persone con contenuti orribili. Non è il modo per ottenere impegno o solidarietà – ha commentato Sam Gregory, direttore del programma del gruppo per i diritti umani incentrato sulla tecnologia Witness -. Ma, allo stesso tempo, quanti contenuti vengono eliminati? Viene conservato? Sarà accessibile per la giustizia?”
Gregory ha ammonito raccontando la storia del Syrian Archive, una campagna di conservazione che ha raccolto una collezione di centinaia di migliaia di video della guerra civile siriana. Improvvisamente, nel 2017, gran parte della collezione è andata persa a causa di nuove misure di moderazione dei contenuti.
“Sono scomparsi durante la notte perché YouTube aveva deciso che erano filmati eccessivamente violenti e orribili”, ha constatato Gregory.
In Ucraina, una differenza rispetto ai campi di battaglia liberi della Libia o alle parti della Siria controllate dai ribelli è che il governo centrale esercita ancora il controllo sulle informazioni.
Guidato dal carismatico presidente Volodymyr Zelensky, un maestro nell’uso dei social media per raccogliere sostegno per la sua nazione assediata, il governo capisce chiaramente il valore dei testimoni sul campo. Le riprese amatoriali sono state intrecciate in un montaggio video, impostato su una musica malinconica, che Zelensky ha presentato al Congresso americano il mese scorso durante un discorso virtuale.
Allo stesso tempo, dicono gli analisti, le autorità ucraine sul terreno hanno avvertito i civili di non postare immagini di posizioni militari o le conseguenze immediate degli attacchi aerei, nel caso in cui questo aiuti la Russia a migliorare la mira.
“Naturalmente, funziona in entrambi i sensi. Sono incoraggiati a fotografare le forze armate russe per scopi di intelligence”, ha detto Olga Boichak, l’analista all’Università di Sydney. Boichak ha spiegato che la gente generalmente considera tali sforzi come un dovere civico perché sa che “ogni testimonianza oculare può potenzialmente essere importante” nella lotta dell’Ucraina per la sopravvivenza.
Pochi giorni dopo essere stata intervistata, Olga Boichak ha fornito una lezione sul potere delle storie civili di connettersi con un pubblico lontano. Ha twittato un post straziante in cui descrive come sua nonna in Ucraina è affetta da demenza e si sveglia ogni giorno ripetendo in continuazione che la Russia ha invaso l’Ucraina. Ogni volta, racconta il post, inizia a fare i bagagli per fuggire. “È stata in queste condizioni senza fine per 41 giorni. Il nonno sta tenendo le chiavi in un posto sicuro”, ha concluso l’analista.
Il precedente tweet di Boichak, un’argomentazione accademica con cui spiegava che il comportamento della Russia verso gli ucraini equivale a un genocidio, ha ricevuto 10 “mi piace”. Per quanto riguarda il post intimo sulla lotta quotidiana di sua nonna, più di 43.000 like. E sono in aumento.
Hannah Allam*
*Giornalista di sicurezza nazionale, si occupa di estremismo e terrorismo interno. Ha studiato all’Università dell’Oklahoma, laurea in comunicazioni di massa. Scrive di estremismo, terrorismo interno e sicurezza nazionale per il Washingto Post. Si è unita al Post nel 2021. Prima lavorava alla National Public Radio, dove era nel team che si occupa di sicurezza nazionale. Come corrispondente estero di lunga data per McClatchy, Allam è stata capo ufficio a Baghdad durante la guerra in Iraq e al Cairo durante le ribellioni della primavera araba. È tornata negli Stati Uniti nel 2012 e ha coperto ampiamente la politica estera degli Stati Uniti, la razza e la religione, e l’integrazione delle ideologie estremiste.
Questi i premi e riconoscimenti ottenuti dalla giornalista: Nieman Fellow, 2009, Harvard University; Overseas Press Club Hal Boyle Award per la copertura dell’Iraq (team McClatchy); George Polk Award per la copertura della Siria (team McClatchy); premi nazionali per la cronaca religiosa tra cui il Wilbur, il Goldziher Prize e la Religion News Associatio. Hannah Allam è membro del consiglio dell’ International Women’s Media Foundation.
L’articolo originale del Washington Post lo potete trovare a questo link:
https://www.washingtonpost.com/national-security/2022/04/08/ukraine-war-civilians-witness-narrative/
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