Rapporto Amnesty sull’Africa: “Il covid ha rafforzato i dittatori, effetto devastante sui diritti umani”

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Speciale per Africa ExPress
Luciano Bertozzi
Aprile 2022

Il covid ha fornito una grande opportunità ai regimi libertidici di numerosi Paesi africani per reprimere le proteste. La pandemia ha avuto, infatti, un effetto devastante sui diritti umani, si legge nel Rapporto 2021-22 di Amnesty International.

Nel continente, appena l’8 per cento dei 1,2 miliardi di persone che lo popolano è stato vaccinato e le misure di contenimento del virus hanno consentito ai governi di giustificare la stretta al dissenso, vietando le manifestazioni pacifiche e soffocandole con la violenza.

L’uso eccessivo della forza è stato utilizzato in una dozzina di Paesi, in eSwatini, la repressione dei manifestanti pro-democrazia iniziata a maggio ha provocato 80 morti e oltre 200 feriti.

La pandemia ha anche costituito il pretesto per la distruzione di insediamenti illegali, lasciando senza tetto migliaia di persone in Ghana, Kenya e Nigeria e in Uganda.

I Paesi africani hanno subito una forte disuguaglianza nella distribuzione di vaccini, una sorta di apartheid sanitario. In taluni Paesi (Repubblica Democratica del Congo, Malawi e Sud Sudan), addirittura, i vaccini sono stati inviati con una scadenza molto ravvicinata, ciò ne ha impedito la distribuzione e costretto alla loro distruzione. Ecco un’ulteriore dimostrazione di come il diritto alla salute sia negato.

Non solo, a causa della pandemia sono aumentati i matrimoni forzati, le violenze domestiche e con la chiusura delle scuole le ragazze hanno dovuto abbandonare la possibilità di istruirsi e quindi di affrancarsi dal potere maschile.

In Sudafrica, secondo i dati ufficiali, i reati sessuali sono aumentati del 74 per cento e sono stati registrati almeno 117 casi di femminicidio nella prima metà dell’anno In Sudafrica circa 750 mila bambini avevano abbandonato la scuola entro maggio, più di tre volte il numero pre-pandemia. In Uganda, oltre il 30 per cento degli studenti non è tornato a scuola alla riapertura.

I bambini nei Paesi colpiti da conflitti hanno sperimentato le maggiori difficoltà. In Burkina Faso, secondo l’Unicef, sono rimaste chiuse 2.682 scuole. Situazioni analoghe in Centrafrica e Niger.

Burkina Faso: scuole chiuse

Come in una tempesta perfetta queste limitazioni al dissenso, il bavaglio alla stampa, le leggi antiterrorismo, i conflitti in corso e il cambiamento climatico hanno comportato un drastico peggioramento delle libertà fondamentali. Non va dimenticato che mentre l’Europa è distratta dalla guerra in Ucraina, l’Africa è sconvolta da numerosi conflitti, ignorati dai principali mass media, ciò ha causato anche un gran numero di sfollati.

I conflitti che si vanno diffondendo in larga parte del continente in Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Somalia e Sud Sudan, hanno avuto un impatto disastroso, con un gran numero di vittime e le consuete brutalità che accompagnano le guerre: violenze sessuali, distruzioni di infrastrutture minando ogni possibilità di sviluppo in Paesi fra i più poveri del mondo, distruzione di scuole e ospedali e divieto di accesso agli aiuti umanitari (in Burkina Faso, in Mali, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia e Sud Sudan) che hanno moltiplicato le sofferenze. Le restrizioni all’accesso agli aiuti umanitari secondo le stime dell’Onu, hanno coinvolto oltre 5 milioni di persone in Etiopia, 19,6 milioni nella Repubblica del Congo e 8,3 milioni in Sud Sudan.

In Somalia e in altri Paesi tutte le parti in causa si sono macchiati di orrendi crimini. l’ONU ha documentato centinaia di morti e di feriti, per lo più causati da Al Shabab, ma anche dalle forze di sicurezza, dalle milizie dei clan e dalle forze internazionali e regionali, inclusa la missione dell’Unione Africana.

L’Italia è presente con due missioni militari: EUTM Somalia per la formazione dell’esercito e Miadit per l’addestramento della polizia, ma non si pone il problema di assistere forze di sicurezza che – secondo l’ONU – arruolano ed utilizzano in guerra anche i minori.

Nella Repubblica Centrafricana, secondo le Nazioni Unite, 228 civili sono stati uccisi nel periodo giugno – ottobre per il conflitto interno. In Etiopia, il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray (Tplf), le forze di sicurezza nazionale e le milizie sono stati responsabili del massacro, in molti casi basato sull’identità etnica, di centinaia di civili. Obiettivi civili sono stati colpiti anche nel conflitto di Cabo Delgado, in Mozambico,

Tutti questi crimini, hanno goduto di una sostanziale impunità, solo in pochi casi i responsabili sono stati processati, ma talvolta in maniera non conforme agli standard internazionali, inoltre agli arresti non sono seguite le condanne.

Un esempio eclatante : il Sudan non ha ancora consegnato al Tribunale Penale Internazionale l’ex Presidente Omar El Bashir, che deve rispondere di gravissimi crimini commessi nel Darfur. Fra le rare eccezioni in Ruanda, Jean-Claude Iyamuremye, accusato di essere uno dei leader della milizia Interahamwe, durante il genocidio del 1994, è stato condannato a 25 anni di carcere.

In luoghi dove si combatte da anni è sopraggiunta anche la crisi connessa al cambiamento climatico, che ha privato di ogni minimo mezzo di sostentamento popolazioni già esauste, costringendole a diventare profughi e così alimentando nuove tensioni, in un circolo vizioso senza fine.

In Angola, le scarse precipitazioni hanno causato la peggiore siccità degli ultimi 40 anni. La malnutrizione ha raggiunto il picco a causa della mancanza di cibo, acqua potabile e servizi igienici adeguati. Anche il sud del Madagascar è stato colpito da una grave crisi idrica che colpisce soprattutto coloro che dipendono dall’agricoltura, dall’allevamento e dalla pesca

Ma i Paesi più sviluppati sono capaci solo di fornire armi e sostenere regimi corrotti che garantiscono l’accesso alle materie prime a buon mercato. Purtroppo i Paesi africani che meno hanno contribuito al riscaldamento globale ne stanno pagando già ora le conseguenze, senza avere i fondi per la transizione ecologica.

In queste continue strette repressive non poteva mancare l’attacco ai media indipendenti. Nel 2021 in Angola, Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar, Senegal, Tanzania, Togo sono stati sospesi giornali e stazioni radio e Tv.

In alcuni Paesi le autorità hanno interrotto i programmi in diretta. Anche internet e i social media hanno subito interruzioni in eSwatini, Niger, Nigeria, Senegal, Sud Sudan, Sudan, Uganda e Zambia.

Nel mese di giugno, le autorità nigeriane hanno sospeso Twitter dopo che il sito ha cancellato un controverso messaggio del presidente Buhari accurato di aver violato le regole del social.

Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it
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