KENYA

Kenya-Nepal: gruppo nero alla conquisa dell’Everest. L’uguaglianza razziale si raggiunge sull’Himalaya

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
10 Aprile 2022

Sul tetto del mondo ci può stare anche l’Africa. Sulla vetta più bianca e più alta della Terra si possono arrampicare anche i neri.

Così l’uguaglianza razziale si raggiunge anche conquistando l’Everest.

L’alpinista kenyota, James Kagambi, alla conquista dell’Everest

Fra i 6.098 alpinisti che, dal 1953, hanno scalato gli 8848,86 metri dell’Himalaya meno di 10 sono africani, appena 8. Il primo a salirci in vetta fu il sudafricano Sibusisio Vilane, nel 2003 (e poi nel 2005). Un “vero eroe”, lo definì Nelson Mandela.

Da venerdì, 8 aprile, è in viaggio una spedizione all’assalto della “dea del cielo”, o Sagarmatha, come lo chiamano i nepalesi, per una “prima” assoluta: in un colpo solo vuole raddoppiare questo numero. Il gruppo, infatti, è “all black”: 10 scalatori tutti di colore. Una rarità fra i 480 scalatori provenienti da 59 nazioni: tanti sono i permessi concessi ai primi di aprile dal Dipartimento del Turismo del Nepal per il 2022.

Fra i 10 all-black, 9 sono africani made in USA e un africano puro. Il suo nome è James Kagambi, 62 anni, kenyota: vuole scolpire il suo nome nella storia affondando la piccozza sulla guglia del pianeta.

Allenamento del team All Black

Quando si è diffusa la notizia della sua presenza nel team dei nuovi eroi, il mondo dei social e dei montanari bianchi fece un sorrisino, dimostrando sufficienza e scarsa conoscenza dell’uomo, quasi un mito in patria, dove è noto come KG.

Sarebbe bastato guardare il suo sito (KENYAEXPEDITIONS. com), di cui James è fondatore e responsabile: organizza escursioni sul Monte Kenya, Kilimangiaro, Ruwenzori. I più diffidenti dovrebbero, poi, dare una scorsa al suo curriculum, ai suoi 34 anni di storia montanara, incredibili per un africano.

Nel 1989 è stato il primo nero africano a scalare i 6144 metri del monte Denali in Alaska (la vetta del Nord America) e nel 1994 i 6962 metri dell’argentino Aconcagua, la massima cima del continente americano. Nel 1992 ha rappresentato l’Africa nell’United Nations’ Eiger Peace Climb in Svizzera. Nel 2013 ha avuto l’onore di piantare il vessillo del suo Paese sul Monte Kenya per celebrare i 50 anni di indipendenza.

“La passione per la neve e la montagna – ha raccontato PG alla BBC – mi è scoppiata nel 1973 quando, dal mio villaggio, ammirai i fuochi artificiali proprio sul Monte Kenya in occasione dei festeggiamenti per i primi 10 anni della nostra nazione”.

Anni dopo, ormai laureato come professore, per la prima volta salì su quel monte e toccò la neve. ” Allora capii che mi sarebbe piaciuta sempre di più”. La sua strada era segnata. Nel 1987, dopo anni passati a scuola, ad allenare, a insegnare perfino musica tradizionale, si dedicò totalmente alla montagna. Divenne istruttore della scuola non profit NOLS (National Outdoor Leadership School) e la sua vita si divise fra Patagonia, Alaska, East Africa, India.

Fino alla svolta che lo ha portato alla scalata dell’Everest: la chiamata da parte del Full Circle Everest Expedition (FCEE) team, un gruppo misto di scalatori all-black con l’obiettivo di raggiungere il Chomolungma, o la Dea madre del mondo, secondo i cinesi. E con il fine di promuovere l’uguaglianza razziale anche in questo campo dominato quasi interamente dai bianchi.

Tutti americani, eccetto uno, James “KG” Kagambi, il keniano, il più anziano. Le difficoltà più ardua da scalare è stata quella del finanziamento dell’impresa: dove trovare gli 85 mila dollari necessari? Una parte glieli hanno procurati gli amici su whatsapp, ma non bastavano. Fortunatamente, una società di scommesse ha deciso di sponsorizzarlo e ogni ostacolo è stato superato: viaggi, attrezzature, allenamenti.

La preparazione è stata lunga e dura, ha ricordato KG alla BBC: “Sei scalate del Monte Kenya tra gennaio e aprile del 2021, poi due settimane in Uganda sul Ruwenzori, quindi tra luglio e dicembre negli Stati Uniti: in giro per i monti con 50 chili sulle spalle”. E con la paura che le sue ginocchia “da professore pensionato” (come lo ha definito il sito Digital.sport), cedessero.

In febbraio il team si è recato in Nepal per allenarsi sul posto e per prendere contatti con gli Sherpa-guida nella difficile scalata, che ha preso il via l’8 aprile e che dovrebbe concludersi in due mesi. L’impresa non è priva di pericoli. L’Everest è una delle montagne più pericolose (anche se non la più pericolosa) per gli alpinisti, con centinaia di morti registrati negli ultimi decenni.

James è cosciente dei pericoli che incombono, ma – ha confermato alla BBC – “Non intendo mettere a repentaglio la mia vita. Ho corso rischi più gravi, sfidando ghiacciai, rocce e neve in tutti i continenti. Conosco il mio corpo e so quando è il caso di fermarsi”.

Stavolta però a stimolare i 10 all-black, e James in particolare, non c’è la gloria fine a se stessa. In cima al mondo vogliono piantare anche la bandiera dell’uguaglianza alpinistica. Ha detto alla CNN, una delle due donne del team all-black, Abby Dione, di Fort Lauderdale, titolare di una palestra che addestra le donne afro ad arrampicarsi: “Intendiamo demistificare la narrazione sulla scalata, de-colonizzare la conquista dell’Everest”. E’ la scalata della speranza: “Che tutti i giovani di colore sappiano che tutto è possibile. – riassume KG – Che non è vero che questo è un dominio solo dei bianchi”.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Redazione Africa ExPress

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