7 aprile2022
Quella in Giordania sembrava una telenovelas a lieto fine invece pare che l’infinita soap opera sia destinata a continuare ad libitum. Ma andiamo con ordine e facciamo un passo indietro. L’ex erede al trono di Giordania, il principe ereditario legittimo Hamza bin al-Hussein, l’anno scorso era stato posto agli arresti dal fratellastro, l’attuale re di Giordania Abdullah II, per il (presunto) suo coinvolgimento in uno “strano” caso di sedizione, con l’accusa d’aver cospirato per rovesciare il regime (preoccupato per la sua incolumità, Israele gli aveva concesso asilo politico).
Meno di qualche settimana fa Hamza aveva anche inviato alla Casa Reale (non si sa bene quanto ‘spontaneamente’) una lettera di scuse e di “fedeltà al re”.
“Scrivo a Vostra Maestà con il mio più profondo rispetto e apprezzamento, e prego che Dio vi protegga e vi conceda buona salute e affinché lei rimanga un pilastro di forza per la nostra nazione e la nostra famiglia.
Seguirò le orme dei nostri antenati e rimarrò fedele alla loro eredità, devoto al loro percorso di servizio al popolo giordano e impegnato nella nostra costituzione, sotto la saggia guida di Vostra Maestà. Ho sbagliato, Vostra Maestà, e sbagliare è umano. Pertanto, mi assumo la responsabilità delle posizioni che ho preso e delle offese che ho commesso contro Vostra Maestà e il nostro Paese. Chiedo il perdono a Vostra Maestà, sapendo che siete sempre stati molto clementi.
Chiedo scusa al nostro popolo giordano e alla nostra famiglia (hascemita) per questi errori”.
Mentre tutti gli altri ‘cospiratori’ sono stati condannati a 15 anni di lavori forzati, ad Hamzah era stata risparmiata la severa punizione, dopo aver fatto il mea culpa; su esplicite direttive dello stesso clepto-monarca Re Abdullah, il principe ribelle è stato ‘perdonato’ dalla clemente e misericordiosa famiglia hashemita.
Tutto bene tutto quel che finisce bene, direte voi. Manco per sogno. L’altro ieri l’ex erede al trono Hamza bin al-Hussein ha annunciato che aveva “rinunciato” al suo titolo reale in segno di protesta contro le attuali politiche dispotiche della leadership Giordana.
In una lettera pubblicata sul suo profilo Twitter il primo giorno del mese sacro musulmano del Ramadan, ha pubblicamente denunciato che quello che sta accadendo nel suo paese gli impedisce di avallare le politiche perseguite da il regime giordano: “Sono giunto alla conclusione che la mia convinzione personale e i principi che mio padre (il defunto re Hussein) mi ha instillato non sono in linea con il percorso, le direttive e i metodi moderni delle nostre istituzioni. Ho avuto il grande onore di servire il mio amato paese e il mio caro popolo giordano, il solo al quale rimarrò fedele finché vivrò”.
Hamza, 42 anni, era stato nominato principe ereditario quando suo padre, re Hussein morì di cancro nel 1999. Secondo il volere di Re Hussein, Abdullah II sarebbe stato designato re solo per un tempo limitato, un re di transizione dunque, solo per il periodo necessario per far crescere il principe ereditario Hamzah, allora troppo giovane.
Nemmeno cinque anni dopo la morte del padre, Hamzah fu invece estromesso dal titolo da Abdullah II il quale con un golpe bianco nominò suo figlio come erede, rimangiandosi il giuramento fatto a Re Hussein sul letto di morte. Un furto con destrezza assai diffuso a certe latitudini mediorientali.
Anche in Arabia Saudita è andata in scena, più o meno, la stessa faida “usurpaldina” (usurpazione truffaldina). Il principe ereditario legittimo dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Nayef, figlio del precedente monarca Re Abldullah (cugino di primo grado di Mohammed Bin Salman) con un colpo di mano venne estromesso dalla carica di principe ereditario nel 2017 proprio da Mohammed Bin Salman.
Dopo la sua epurazione, senza accuse formali contro di lui, Mohammed bin Nayef venne confinato agli arresti in isolamento assoluto dove pare sia tutt’ora (se nel frattempo non è stato assassinato perché non si hanno più notizie certe di lui da anni). Fonti accreditate riferiscono che il legittimo monarca dell’Arabia Saudita non riesca più a reggersi in piedi perché ha subito danni permanenti alle caviglie a causa del brutale trattamento subito in carcere, muove solo qualche passo aiutandosi col bastone (in carcere è stato torturato, drogato, privato del sonno e appeso a testa in giù per le caviglie).
Ma può dirsi davvero molto fortunato, ad altri è andata decisamente peggio. Come al giornalista arabo Jamal Khashoggi, torturato, segato in pezzi con la motosega e termovalorizzato sul barbecue di un consolato dell’Arabia Saudita, per ordine di Mohammed bin Salman…
Africa ExPress
@afrocexp
(dal quotidiano arabo Alarab)
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