Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
16 marzo 2022
Israele ha vietato l’entrata agli etiopici per le prossime festività pasquali. Le agenzie di viaggio hanno confermato di aver ricevuto una lettera da Population and Immigration Authority, nella quale l’ufficio ha precisato che ogni etiope che desidera entrare in Israele deve contattare via email il dipartimento immigrazione per ottenere eventualmente il visto.
Il governo teme che i pellegrini cattolici etiopici, che ogni anno giungono numerosi in Israele per Pasqua, potrebbero non tornare a casa, a causa del conflitto che insanguina il nord del Paese dall’inizio di novembre 2020. In passato, ha sottolineato l’ufficio, molti turisti religiosi sarebbero rimasti in Israele illegalmente.
Israel Incoming Tour Operators Association ritiene tale provvedimento discriminatorio, in quanto viene applicato unicamente ai turisti etiopici; l’associazione ha aggiunto che molti gruppi, che avevano già programmato il viaggio, hanno scritto lettere di protesta all’ente preposto all’applicazione della norma. Dal canto suo il ministero degli Esteri di Addis Abeba ha detto di essere all’oscuro della norma imposta dal governo di israeliano.
Se da un lato il governo del primo ministro israeliano, Naftali Bennett, applica norme discriminatorie nei confronti degli etiopi, la Corte suprema ha annullato pochi giorni fa l’ordinanza provvisoria dello scorso febbraio, che aveva imposto una sospensione dell’immigrazione di ebrei etiopici, i falash mura.
I falash mura sono una comunità che, come i falascia, si considera discendente degli antichi ebrei etiopi. Fanno risalire le loro origini all’unione tra re Salomone e la regina di Saba o a una delle “dieci tribù perdute” di Israele.
Sono noti anche col termine Beta Israel, che significa Casa Israele, ed è da loro preferito, vista l’accezione negativa che la parola falash ha assunto in amarico, e che significa “esiliato” o “straniero”.
Ma differenza dei falascia, i mura sono ebrei etiopi che – sottoposti ad angherie per il loro credo – si sono convertiti al cristianesimo nell’Ottocento e dunque non possono godere della legge del ritorno. Nel 2015 il governo israeliano aveva però adottato all’unanimità un piano che prevedeva di accogliere 9 mila falash mura entro il 2020, persone considerate come aventi diritto a emigrare in Israele e che dimostravano la volontà di convertirsi all’ebraismo. Si tratta più che altro di un piano di ricongiungimento familiare per coloro rimasti in Etiopia, ma avendo almeno un parente nello Stato ebraico.
Pnina Tamano-Shata, ministro israeliano dell’Integrazione di origine etiopica e l’Alya – l’agenzia ebraica che segue le pratiche del ritorno e che ha diversi uffici in giro per il mondo – hanno ringraziato la Corte suprema per aver congelato la precedente norma.
“Continuerò a battermi per coloro che attendono da anni in Etiopia il trasferimento alla volta di Israele. Hanno già sofferto abbastanza. Ora posso portarli qui immediatamente. Sono il ministro di tutti e pertanto mi impegnerò anche per gli ebrei ucraini e non solo. Lotterò per tutte le persone di religione ebraica della diaspora che desiderano immigrare nel nostro Paese”, ha puntualizzato la signora Tamano-Shata.
Cornelia I. Toelgyes
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