Cornelia I. Toelgyes
3 marzo 2022
L’attenzione della Russia alla conquista dell’Africa non poteva mica scordarsi di passare attraverso il Sudan, un Paese ricco e ancora largamente inesplorato. Le materie prime presenti nell’ex possedimento anglo egiziano sono notevoli ma qualcosa di facilmente sfruttabile e immediatamente fruibile deve aver attratto le attenzioni del Cremlino: l’oro.
Il nuovo legame tra Russia e Sudan si è manifestato chiaramente con l’astensione di Khartoum nel voto di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. La mozione approvata da 141 Paesi ha avuto 5 voi contrari (tra cui quello dell’ineffabile Eritrea) e 35 astensioni, appunto.
Un’astensione prevedibile dopo la recente visita a Mosca di una delegazione sudanese, capeggiata dal vicepresidente del Sudan, il tagliagole Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemetti, in passato uno dei capi dei janjaweed, i tristemente noti diavoli a cavallo (come li chiamava la popolazione) che bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi.
Dagalo, che è anche a capo delle Rapid Support Forces (RSF), il nuovo nome con cui di sono riciclati i janjaweed, ha incontrato anche il viceministro della Difesa russo, Alexander Fomin il 26 febbraio scorso, due giorni dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Durante i colloqui le due parti hanno concordato di incrementare la cooperazione militare. Finora non è trapelato nulla sull’accordo della costruzione della base navale russa a Port Sudan. Il governo di transizione ha comunque preso l’impegno di riesaminare la questione quanto prima.
Il vicepresidente sudanese ha avuto anche colloqui con il vice-primo ministro Alexander Novak. Le parti sono interessate a sviluppare la cooperazione in diversi settori, tra questi quello minerario e petrolifero, nonché nella costruzione di infrastrutture elettriche e l’uso pacifico dell’energia nucleare.
Ovviamente non poteva mancare un faccia a faccia con il potente ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Viktorovič Lavrov, che, secondo un comunicato rilasciato dal governo di transizione di Khartoum, ha detto che la Russia segue da vicino gli sviluppi in Sudan, e ha aggiunto di essere convinto che i sudanesi sapranno risolvere i loro attuali problemi, sottolineando “nessuna interferenza da parte di Mosca”.
Cameron Hudson, un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed esperto del Sudan presso l’Atlantic Council’s Africa Center, ritiene che la giunta di transizione spera chiaramente di ottenere, grazie alla la visita di Hemetti, il sostegno finanziario della Russia per sollevare l’economia deficitaria del Paese; potrebbe servire come una minaccia per l’Occidente, a meno che non riprenda i prestiti e trattenga le sanzioni, i militari al potere non esiteranno certamente di calarsi totalmente nell’orbita russa.
Come se non lo fosse già. Da anni sono presenti i mercenari russi del gruppo Wagner nel Paese, molto attivi già ai tempi dell’ex dittatore Omar al Bashir. Gerrit Kurtz, ricercatore del German Institute for International and Security Affairs, ha rivelato a al-Monitor, giornale on line, fondato dall’imprenditore arabo-americano Jamal Daniel, con base a Washinton DC, USA, che, in particolare Hemetti e le RSF hanno già beneficiato in passato dell’appoggio di Mosca, compresi contratti sull’estrazione mineraria, supporto nell’ambito delle comunicazioni e della sicurezza.
Non va dimenticato che il Sudan è ricco in giacimenti auriferi, eppure è una delle nazioni più povere al mondo. Per la maggior parte l’oro viene estratto in miniere a conduzione artigianale che mette in grave pericolo i minatori. Basti pensare che a dicembre sono morte oltre 30 persone nel West-Kordofan, in Darfur, in un giacimento che ufficialmente risultava chiuso.
Ma le autorità di Khartoum, in particolare il ministero delle Miniere, non si preoccupano più di tanto a far rispettare le leggi, come per esempio quella che vieta ai minatori artigianali di scavare oltre una certa profondità. Sta di fatto oltre l’80 per cento dell’oro estratto nel Paese proviene da questi siti informali, strettamente controllati dai militari e dove lavorano oltre 2 milioni di persone per un misero tozzo di pane.
Il numero due delle autorità di transizione ha interessi sostanziali nel settore. La sua azienda di famiglia, Al Gunade, è nell’estrazione e nel commercio dell’oro. Secondo documenti visti dalla ONG Global Witness, il Sudan esporta ogni anno 16 miliardi di dollari d’oro negli Emirati Arabi.
Anche i russi hanno ottenuto molte licenze, sembra che in un solo giorno l’ex dittatore Al Bashir ne abbia rilasciate 50, senza effettuare i dovuti controlli sulle compagnie russe, alcune delle quali senza esperienza nel settore.
E, secondo un’inchiesta di The Telegraph, la Russia avrebbe contrabbandato centinaia di tonnellate di oro dal Sudan negli ultimi anni.
Dal 2010 il Cremlino ha più che quadruplicato la quantità di oro detenuto nella Banca centrale, creando così un “forziere di guerra” attraverso un mix di importazioni dall’estero e vaste riserve d’oro interne come terzo produttore mondiale del prezioso metallo.
Sempre in base a The Telehraph, anche se le statistiche ufficiali non evidenziano esportazioni importanti di oro verso la Russia, un dirigente, che ha voluto mantenere l’anonimato, di una delle più grandi compagnie aurifere sudanesi ha detto al quotidiano inglese che il Cremlino è il più grande attore straniero nell’enorme settore minerario del Paese.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes
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