Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
24 febbraio 2022
La Francia cessa la sua collaborazione militare con il Mali. Le truppe dell’Opération Barkhane lasceranno la ex colonia, insieme ai partner europei del contingente Takuba, attivo nel Paese sotto il comando del contingente francese. L’annuncio è stato fatto dal presidente Emmanuel Macron una settimana fa, dopo una cena di lavoro all’Eliseo, alla quale hanno partecipato una trentina di dirigenti africani e europei.
Il governo golpista di Bamako ha chiesto un ritiro immediato, Macron, ha rinviato al mittente tale pretesa: “La Francia si ritirerà in buon ordine e senza compromettere la sicurezza dei nostri soldati”.
Abdoulaye Maïga, ministro per gli Affari territoriali e portavoce del governo di transizione di Bamako, in un messaggio che è stato letto alla TV di Stato la scorsa settimana, ha definito l’annuncio del disimpegno francese una “flagrante violazione” degli accordi tra i due Paesi, sottolineando che i risultati di nove anni di coinvolgimento francese in Mali non sono stati soddisfacenti.
Tra 2.500 e 3.000 soldati del Paese d’Oltralpe resteranno nel Sahel (ma non più in Mali) per contrastare i terroristi. Il comando del contingente di Barkhane si trova in Ciad, con una base aerea a N’Djamena, la capitale ciadiana. i loro aerei da trasporto vengono svolgono missioni logistiche in un immenso territorio di 5 milioni di chilometri quadrati.
Mentre a Niamey, la capitale del Niger, si trova la principale base aerea dell’operazione Barkhane, con sei droni Reaper e sette aerei da combattimento Mirage. Nella capitale c’è anche il comando operativo della Force G5 Sahel, contingente tutto africano, composto da militari di Ciad, Niger, Mali, Mauritania e Burkina Faso, lanciato nel 2017 dai rispettivi capi di Stato dei 5 Paesi, e sostenuti con finanziamenti da UE, Francia, USA e Arabia Saudita.
Insomma la Francia non abbandona i propri interessi nel Sahel. Il suo maggiore alleato nella regione è attualmente il Niger, dove Parigi controlla ancora miniere di uranio, che, certamente non vuole lasciare in mano ai russi. Anche se la miniera di uranio di Cominak è stata chiusa, è rimasta aperta quella di Somair. Una terza a Imouraren, la più grande del mondo, dovrebbe entrare in funzione tra pochissimo.
E, durante la conferenza stampa della scorsa settimana Macron ha anche annunciato di aver siglato un accordo con le autorità del Niger. Tale intesa prevede il trasferimento della task force Takuba nella regione delle tre frontiere, ma su suolo nigerino, dove il contingente europeo, insieme alle truppe di Niamey avrà il compito di contrastare gli attacchi dei terroristi.
L’operazione è miseramente fallita. Ma forse la responsabilità non è tutta francese. In Italia per esempio, l’attività della parte italiana della missione è avvolta nel mistero. Cosa fanno, cosa hanno fatto i nostri uomini? Sarebbe bene che qualcuno lo spiegasse in parlamento.
Intanto il governo di Bamako ha annunciato qualche giorno fa di aver condotto campagne contro i terroristi in diverse regioni (Timbuktu, Ségou, Mopti et Bandiagara). Lo Stato maggiore maliano ha fatto sapere che durante le operazioni delle loro forze armate sarebbero stati uccisi 60 terroristi, ma ha anche precisato che durante le operazioni i loro militari sono stati supportati da Takuba – per il momento ancora operativa – con mezzi di ricognizione per stanare i gruppi armati.
Ma Bamako potrà contare anche su altri aiuti. Secondo quanto dichiarato da Moussa Ag Acharatoumane, portavoce degli ex-ribelli dei movimenti armati del nord del Mali – Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) e la Piattaforma dei Movimenti, che hanno firmato l’accordo con il governo di Bamako – i gruppi che rappresenta sono pronti combattere i terroristi nelle regioni del nord del Paese. “Ora dobbiamo dimostrare al nostro popolo, ai nostri vicini, alla comunità internazionale che siamo in grado di garantire la sicurezza”, ha precisato.
E poi ci sono i nuovi alleati dell’ex colonia francese in Mali: i russi non presenti ufficialmente ma attraverso la loro quinta colonna il braccio dei mercenari del Wagner Group, una società di sicurezza privata che da molte parti viene considerata un’emanazione diretta del Cremlino. Non solo Ucraina, dunque, l’espansione di Mosca si può toccare con mano anche in Africa.
Tra l’altro all’inizio del mese è stato siglato un nuovo accordo a Roma tra il Quadro Strategico Permanente – formazione che nell’aprile del 2021 ha riunito il Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (Cma) e la Piattaforma dei Movimenti del 14 giugno 2014 di Algeri – e il governo di Bamako, rappresentato all’occasione dal ministro della Riconciliazione nazionale, Ismael Wague. I dialoghi tra le parti sono stati promossi dalla ONG italiana Ara Pacis, Initiatives for Peace, che già lo scorso anno aveva messo in atto un’iniziativa simile. Alla firma dell’accordo del 2021 ha presenziato anche il ministro degli Esteri, Luigi di Maio.
Intanto oggi il governo di transizione di Bamako dovrà affrontare altri problemi, volti a alleggerire le sanzioni inflitte dalla CEDEAO (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) lo scorso 9 gennaio. Una delegazione dell’organizzazione, capeggiata dall’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan, è arrivata nel Paese poche ore fa per discutere la durata del periodo di transizione e organizzare le elezioni libere e democratiche. A fine dicembre la giunta militare al potere aveva proposto un arco di tempo di 5 anni, necessari, secondo il governo maliano, per effettuare le riforme. Tale proposta è stata ritenuta inaccettabile dalla CEDEAO, il cui presidente di turno, il capo di Stato del Ghana, Nana Akufo-Addo, è convinto che 12 mesi dovrebbero essere sufficienti, mentre l’Unione Africana è propensa a accordare un periodo di 16 mesi.
Cornelia I. Toelgyes
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