Editoriale
Massimo A. Alberizzi
20 febbraio 2022
Pochi si sono accorti che la partita, per ora essenzialmente diplomatica, si gioca non solo in Ucraina, ma anche in Africa. La penetrazione russa nel Sahel (soprattutto in Mali e nella Repubblica Centrafricana) è sempre più evidente e invadente.
La strategia del Cremlino in Africa è molto incisiva, ma anche assai subdola. A differenza degli Occidentali, Stati Uniti in testa, Mosca non manda truppe, si limita a sostituire o affiancare i militari, perlopiù francesi o dei contingenti dell’ONU dislocati in quella parte del mondo, con i corpi mercenari organizzati e addestrati da ex ufficiali sovietici.
Ma non si limita a questo: rifornisce gli arsenali locali con ingenti quantitativi di armi. In cambio ottiene lucrose concessioni minerarie.
Soldati di ventura
I soldati di ventura russi (ma vengono anche dai ranghi delle ex repubbliche dell’URSS) si comportano da arroganti gradassi e si rendono protagonisti di atti di inaudita violenza, massacri stupri e razzie. E’ prassi quotidiana nella Repubblica Centrafricana dove il governo, che li ha chiamati in aiuto, fa fatica a controllarli.
O addirittura non vuole. A causa delle violazioni dei diritti umani l’Europa ha sanzionato la compagnia russa.
Certo non è che gli americani durante le loro guerre abbiano usato guanti di velluto. Non ci siamo scordati del massacro di My Lai, durante la guerra del Vietnam il 16 marzo 1968, quando furono trucidati civili inermi.
E non ci siamo scordati di casi analoghi che ci hanno visti coinvolti più da vicino, i villaggi pieni di civili bruciati dal generale Graziani durante la sciagurata guerra italiana in Etiopia. In guerra non ci sono santi e santerellini e gli eserciti scaricano da sempre la loro violenza sulle popolazioni inermi.
Ma quelli di Mosca non sono soltanto interventi militari camuffati: la Russia prende il posto giocato dall’Occidente nella politica di sfruttamento delle ingenti risorse minerarie del continente. Le corrotte élite africane si prestano volentieri a questo gioco.
La loro politica infatti mira a incassare più denaro possibile e non certo per metterlo a disposizione delle popolazioni miserabili, diseredate e violentate, ma piuttosto per rimpinguare i propri conti correnti personali nelle banche svizzere o in qualche paradiso fiscale.
Freelance del terrore
Nel Sahel, quella fascia di Africa subsahariana che va dall’Oceano indiano al Mar Rosso, si gioca una difficile partita che vede convolti americani, russi, francesi, europei e, soprattutto tanti islamisti che hanno fondato diversi gruppi sovversivi: alcuni fedeli allo Stato Islamico dell’ISIS, altri ad Al Qaeda e altri ancora indipendenti, freelance del terrore.
La penetrazione radicale islamica nel Sahel è fortissima e l’area si sta rivelando un nuovo Afghanistan. Un punto di ritrovo dove si incontrano terroristi, trafficanti di droga e di uomini, affaristi in doppiopetto che commerciano in petrolio di dubbia provenienza, mercanti d’armi senza scrupoli. I massacri sono soltanto fastidiosi effetti collaterali.
Nel Sahel stanno arrivando miliziani siriani, iracheni, libici, mauritani ma anche piccoli gruppi di fanatici sudanesi, senegalesi, tunisini e marocchini.
Ma qualcuno ha segnalato anche bianchi con gli occhi a mandorla, probabilmente tagichi, ceceni, uzbeki e altri islamisti provenienti dalle ex repubbliche sovietiche. Tutti inquadrati nel gruppo di mercenari paramilitari del gruppo Wagner.
Gruppi paramilitari
Si dice che dietro ai Wagner ci sia il leader russo Vladimir Putin, ma la cosa non può scandalizzare gli americani. I gruppi paramilitari americani Halliburton e Black Water hanno partecipato attivamente alle guerre africane.
In particolare l’Halliburton annoverava tra i consiglieri d’amministrazione prima e poi addirittura amministratore delegato, Dick Cheney, vicepresidente di George Bush Sr. Un conflitto di interessi clamorosamente lapalissiano. Ma in pochi si sono indignati.
Tra l’altro i francesi non sono più i benvenuti nelle loro ex colonie. In Mali la piazza ha chiesto insistentemente che le truppe transalpine lascino il Paese e Parigi ha deciso di andarsene. Un ritiro che durerà sei mesi. I Wagner si sono già organizzati e stanno riempiendo il vuoto, come conferma ad Africa ExPress una fonte bene informata a Bamako.
Miniere di uranio
In Niger la situazione è un po’ diversa. Discretamente arrivano i russi, ma i francesi restano. La miniera di uranio di Cominak è stata chiusa mentre quella di Somair è rimasta, ed è ancora, sempre aperta. Una terza a Imouraren, la più grande del mondo, dovrebbe entrare in funzione tra pochissimo.
E’ difficile pensare che Parigi se ne vada dal Paese e lasci in mano ai russi giacimenti strategicamente importanti. Chi potrebbe garantire che Mosca non venderebbe a nemici giurati di Washington, per esempio Iran e Corea del Nord, il prezioso e pericoloso minerale?
Do ut des
Stessa cosa in Chad. In palio c’è l’uranio del Tibesti, nel nord del Paese, teatro il passato di feroci guerre. Sia Francia, sia Stati Uniti sono decisi a sbarrare il passo ai russi, già intenti a blandire il dittatore Mahamat Idriss Déby Itno.
La presenza in Libia è ben conosciuta e massiccia. I Wagner sono schierati, assieme alla Francia, agli Emirati Arabi Uniti e all’Egitto a fianco del generale Kalifa Haftar che sostengono con armi e consiglieri militari, contro gli islamisti che invece godono dell’appoggio degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell’Italia, del Qatar e dell’Arabia Saudita.
Come è facile intuire sono alleanze piuttosto difficili da capire, a meno che non nascondano interessi inconfessabili.
Anche in Sudan
Naturalmente i Wagner sono presenti anche nel turbolento Sudan, dopo aver aiutato i servizi di sicurezza a reprimere le manifestazioni contro il dittatore Omar Al Bashir , tre anni fa, ora appoggiano i militari al potere che caparbiamente non intendono passare la mano ai civili.
La presenza dei mercenari russi è segnalata anche in Mozambico, Madagascar, Guinea Bissau e nella Repubblica Democratica del Congo, quest’ultimo è il Paese più ricco del mondo dopo il Brasile.
Non dovrebbe destare meraviglia se, alla fine, la battaglia per l’Ucraina di risolvesse semplicemente con un do ut des. L’Ucraina resti pure agganciata all’Occidente (persino nella NATO, se è il caso) in cambio di una benevola e limitata accettazione di una penetrazione russa in Africa.
In fondo Kiev è ben lontana da Washington e una comune guerra al terrorismo islamico val bene una spartizione degli interessi nel continente.
Massimo A. Alberizzi
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