Cornelia I. Toelgyes
24 gennaio 2022
La circoscrizione di Walendu Bindi, nella provincia di Ituri, nell’nord-est della Repubblica Democratica del Congo è sotto controllo del gruppo FRPI (Force de Résistance Patriotique de l’Ituri) e ha sostituito di fatto lo Stato e le forze armate, dopo il loro fallito tentativo di disarmare il gruppo alla fine del 2020.
Eppure nel febbraio 2020 i leader di FRPI avevano siglato un accordo con il governo di Kinshasa, ma come spesso accade, il processo di pace tarda a essere messo in pratica. Allora le autorità locali lamentavano problemi tecnici per la sua messa in opera, mentre la popolazione temeva nuove insurrezioni, malgrado i ribelli (1.125 miliziani e altri simpatizzanti) si fossero ritirati in un accampamento da oltre un anno.
A causa di provocazioni reciproche tra lo Stato e il gruppo, l’accordo è saltato e a fine 2020 i miliziani sono usciti dal confinamento, hanno ripreso le posizioni sulle principale vie d’accesso per Walendu Bindi e nei villaggi. Controllano tutti movimenti e si vantano di poter impedire in questo modo l’espansione di ADF, Allied Democratic Forces, un’organizzazione islamista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995.
In una pianura totalmente disboscata, nella parte meridionale di Walendu Bindi, alcuni miliziani sono sempre di guardia, con le armi imbracciate sulle spalle.
“Abbiamo occupato questa postazione lo scorso giugno per impedire a ADF e i loro amici di entrare nel nostro baluardo per attaccare la popolazione”, ha detto un leader del gruppo, Jean-Robert Kufa Mbafele .
Il FRPI è una milizia che conta oltre mille uomini, creata alla fine degli anni novanta con lo scopo di contrastare l’esercito ugandese che stava invadendo l’Ituri.
E verso la fine del 2020, migliaia di sfollati sono arrivati in diverse ondate in questa comunità, cercando la protezione dei miliziani di FRPI. Sono fuggiti dai massacri perpetrati da ADF e dai loro alleati delle comunità hutu nelle vicine circoscrizioni di Boga e Tchabi.
Eppure, nelle province Nord-Kivu e Ituri, nell’est dell’ex colonia belga, a fine aprile il governo centrale ha imposto lo stato d’emergenza. Da allora i governatori, nonché tutti gli amministratori locali eletti sono stati rimossi e sostituiti momentaneamente da quadri militari. Secondo un rapporto del Kivu Security Barometer, nonostante le misure eccezionali, l’esercito non è stato in grado di impedire il massacro di centinaia di civili.
E dalla fine di novembre nel Congo-K sono presenti anche militari ugandesi. Il presidente congolese, Felix Tshisekedi, ha autorizzato l’esercito di Kampala ad entrare nel Paese per dare la caccia ai miliziani di ADF, responsabili di gravissimi attentati. Il gruppo terrorista recentemente ha ripreso le sue attività anche in Uganda, come è stato riportato da Africa ExPress.
ADF, malgrado i loro attacchi e le violenze contro la popolazione, in alcune aree ha ancora molta influenza sui residenti. Secondo un rapporto di MONUSCO – la Missione di pace dell’ONU nel Congo-K – i ribelli continuano a reclutare giovani. Vicino a Tchabi, i terroristi avrebbero adescato tra 30-40 giovani, per lo più minorenni, pagando alle famiglie 300 dollari per ciascuna recluta.
Tra novembre e dicembre l’esercito ugandese ha bombardato ripetutamente l’area attorno a Tchabi, ritenuta la roccaforte di ADF. Eppure fino ad oggi nessun soldato si è recato sul posto per verificare l’esito dei raid aerei.
La popolazione considera da tempo FRPI come un male minore. Il gruppo non viene combattuto dall’esercito, convive con le autorità, sopraffatta dagli eventi.
I poliziotti stessi non hanno nessun problema con questi combattenti. Capita che diano persino passaggi in moto ai miliziani, come ha fatto qualche giorno fa Malumba, un comandante di polizia del luogo. Rientrando a casa, sulla pista che porta a Bunia, il capoluogo di Ituri, ha incontrato un giovane che indossava un gilet antiproiettile. Si è fermato, ha fatto accomodare il combattente sul sedile posteriore della sua moto cinese, e lo ha accompagnato fino al feudo di FRPI. Una volta sceso, il ragazzo ha ringraziato il poliziotto, poi ognuno ha proseguito per la propria strada.
Cornelia I. Toelgyes
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