Cornelia I. Toelgyes
19 gennaio 2022
“Basta con l’uso sproporzionato e esagerato della forza nei confronti dei manifestanti”. E’ il monito lanciato da Ravina Shamdasani, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, alle autorità del Sudan.
Anche Josep Borrell, Alto Commissario dell’Unione Europea per la Politica Estera ha detto che con il prolungarsi della crisi, il Sudan si allontana sempre di più da pace e stabilità. Borrell chiede alle autorità di allentare le crescenti tensioni e di evitare in futuro perdite di vite umane.
Dal 25 ottobre 2021, giorno del colpo di Stato perpetrato da Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Sudan, nonché capo del Consiglio sovrano, sono state brutalmente uccise almeno 71 persone, oltre 2.000 sono state ferite. Durante la marcia di protesta di lunedì scorso sono stati brutalmente uccisi 7 dimostranti. I sudanesi chiedono a gran voce un governo civile, in grado di traghettare il Paese verso libere e democratiche elezioni. “I militari devono tornare nelle loro baracche”, è lo slogan che i dimostranti ripetono da mesi.
Ieri, in risposta alla nuova strage di lunedì, la popolazione ha eretto barricate nel centro della capitale Khartoum e molti negozi e attività commerciali hanno abbassato le serrande. Sono state indette due giornate di sciopero generale e disobbedienza civile.
Allo sciopero generale ha aderito anche un ateneo di Khartoum, University for Science and Technology, con la sospensione delle lezioni per due giorni.
Malgrado gli innumerevoli appelli, la polizia ha sparato gas lacrimogeni, lanciandoli sui dimostranti, che in diverse parti della città hanno eretto barricate.
In un comunicato del comitato per la resistenza civile di Khartoum si legge: ”È nostro dovere resistere finché non saremo vittoriosi, in caso contrario, i militari, dopo averci uccisi tutti, governeranno un Paese vuoto”.
La polizia ha confermato la morte di ben 7 persone, sostenendo che gli agenti sono stati aggrediti sistematicamente dai manifestanti. Lunedì le forze dell’ordine hanno usato pallottole vere. Il presidente del Consiglio sovrano ha promesso di aprire un indagine.
Anche Volker Perthes, l’inviato speciale delle Nazioni Unite ha condannato l’uso di munizioni vere e l’ambasciata degli Stati Uniti a Khartoum ha criticato la violenza delle forze di sicurezza. Molly Phee, Assistente del Segretario di Stato degli Stati Uniti per gli Affari Africani e l’inviato speciale per il Corno d’Africa, David Satterfield, sono attesi nella capitale sudanese per colloqui con le autorità.
Ieri si sono riuniti a Ryad gli “amici del Sudan” (i cui membri sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, USA, Gran Bretagna, Germania, Francia, Svezia, ONU, Unione Africana, Lega Araba, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale) per discutere come appoggiare a livello internazionale gli sforzi di UNITAMS (acronimo per United Nations Integrated Transition Assistance Mission in the Sudan), il cui capo è Perthes, che ha aperto consultazioni con gli attori chiave del Paese, per facilitare il dialogo tra le parti. Alla riunione hanno partecipato anche la Phee e Satterfield. Mentre Perthes è intervenuto tramite collegamento online, perché positivo al covid.
Oppressione a tutto campo è la parola d’ordine dal giorno del putsch. Durante lo stato d‘emergenza – dichiarato da al-Burhan il 25 ottobre – tutto è lecito e pertanto continuano senza sosta arresti e detenzioni arbitrarie contro manifestanti, giornalisti e operatori dei media. Le forze di sicurezza irrompono nelle case degli attivisti, entrano negli ospedali per arrestare i manifestanti feriti. Sabato scorso è stata persino revocata la licenza di al-Jazeera in lingua araba e due giorni prima la polizia è entrata nei locali dell’emittente Al Araby Television, arrestando anche 4 giornalisti perchè stavano riprendendo una manifestazione dal tetto dell’edificio.
Cornelia I. Toelgyes
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