Addis Abeba, 9 gennaio 2022
Nel Tigray, regione nel nord dell’Etiopia, il 2022 è iniziato come è terminato: violenze, sangue, fame, morti, feriti. Mercoledì scorso sono morti due bambini e una donna nel campo per profughi Mai Aini, colpito dalle bombe durante un raid aereo. La notizia è stata data da Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR).
E venerdì, giorno del Natale ortodosso, nuovi bombardamenti a Dedebit, nel nord-ovest, vicino alla frontiera con l’Eritrea. Droni armati hanno colpito in piena notte una scuola, dove hanno trovato rifugio gli sfollati. Era buio pesto, la gente, soprattutto anziani e bambini non sono riusciti a scappare. Il bilancio è davvero pesante: 56 morti e almeno una trentina di feriti.
Finora non ci sono conferme ufficiali sull’ultima carneficina perpetrata dal governo etiopico. Due operatori umanitari attivi nella zona hanno contattato Reuters, allegando foto dei feriti, trasportati all’ospedale di Shire Suhul, una delle tante strutture della regione da tempo quasi prive di medicinali e materiale sanitario.
E’ sempre difficile avere notizie dirette dal Tigray, i giornalisti stranieri non hanno accesso alla zona di guerra, e è pertanto impossibile ricevere informazioni indipendenti.
Finora il governo di Addis Ababa non ha rilasciato commenti, in precedenza ha però sempre negato di aver colpito civili durante questa sanguinosa guerra che si consuma nel nord del Paese dal 4 novembre 2020.
Molti, troppi altri muoiono anche di fame, gli aiuti umanitari stentano ad arrivare. Per essere precisi, dal 14 dicembre non si è visto più l’ombra di un convoglio in tutto il Tigray. I camion sono tutti bloccati a Semera, nella vicina regione dell’Afar per questioni di sicurezza, sempre molto fragile nelle zone di guerra. Anche se i combattimenti sul terreno sono cessati, i raid aerei continuano incessantemente, grazie ai droni, acquistati recentemente dal governo etiopico da Turchia e dagli Emirati Arabi Uniti, oltre che ai missili di fabbricazione cinese.
Impossibile far arrivare convogli nell’ovest del Tigray via il Sudan, vista la situazione attuale anche di questo Paese, ma non solo, l’area di confine è attualmente sotto il controllo di gruppi armati che sostengono le forze etiopiche.
Anche nel sud del Tigray le forze filogovernative della regione di Amhara impediscono il passaggio dei rifornimenti umanitari.
WFP (acronimo inglese per Programma Alimentare Mondiale n.d.r.) è estremamente preoccupato in quanto quasi 900 camion vuoti non sono più ritornati dal Tigray. Il governo etiopico incolpa il TPLF (Tigray People’s Liberation Front) di utilizzare i mezzi per i propri scopi, accuse fermamente respinte dai “ribelli”.
Inoltre, tutte le parti in causa sono state accusate di aver attaccato o/e confiscato aiuti umanitari e a farne le spese è sempre la popolazione che resta a stomaco vuoto. USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale n.d.r.) biasima il governo etiopico di aver bloccato de facto comunicazioni, banche e altri servizi indispensabili.
In 14 mesi di conflitto hanno perso la vita anche 24 operatori umanitari e a agosto diverse ONG, tra questi anche Medici senza Frontiere, sono state accusate di aver appoggiato il TPLF, anzi, di aver persino procurato armi ai ribelli.
I medici hanno riferito che il 40 per cento dei bambini sotto i cinque anni ricoverati in ospedale, soffrono di malnutrizione grave, il doppio rispetto al 2019. Le mamme dei più piccoli non possono più attaccarli al seno, non producono più latte, perché anche a loro manca il nutrimento necessario e non hanno soldi per acquistare – qualora fosse disponibile – alimentazione in polvere adatta a bambini gravemente sottopeso.
Gli ospedali stessi sono in grave difficoltà, perché, come ha detto un medico alla BBC, da oltre sei mesi non arrivano rifornimenti da Addis Ababa. “Non abbiamo più nulla, nemmeno materiale sanitario. Dobbiamo arrestare le emorragie con le nostre mani, senza alcuna protezione. Recentemente sono morti anche una trentina di pazienti con insufficienza renale, non siamo stati in grado di praticare la dialisi”.
Africa ExPress
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(1 – continua)
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