Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
27 dicembre 2021
Il Covid in Uganda ha fatto due grandi vittime: l’istruzione e le gravidanze precoci. “Le scuole riapriranno il 10 gennaio 2022” è l’annuncio fatto da Janet Kataha Museveni, ministro dell’Educazione dell’Uganda, nonché moglie del presidente del Paese, Yoweni Museveni, il 15 dicembre scorso.
Tutte le attività scolastiche sono state interrotte per la durata di quasi due anni, 22 mesi per la precisazione e l’Uganda si aggiudica così un posto nel Guinness dei primati per aver privato bambini e ragazzi dell’istruzione per un periodo così lungo. Il governo giustifica questo provvedimento per il timore del propagarsi dei contagi.
Con la chiusure prolungate delle scuole è cresciuta in modo esponenziale la vulnerabilità delle ragazzine. Molte minorenni sono state costrette a matrimoni precoci e a subire altre violenze terribili come abusi sessuali e gravidanze adolescenziali. E per stessa ammissione del governo ugandese tali fenomeni sono in continua crescita. Per questo motivo è in atto una campagna, “Protect the Girl, Save the Nation” (proteggi la ragazza, salva la nazione), sponsorizzata da UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) e UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per La Popolazione).
L’Uganda conta poco più di 40 milioni di abitanti e a tutt’oggi sono state somministrate 9,78 milioni di dosi; solamente il 3,1 per cento della popolazione ha concluso il ciclo vaccinale di due inoculazioni.
A fine ottobre, durante un suo discorso ripreso dalla TV di Stato, Museveni aveva preannunciato la ripresa delle lezioni per gennaio e la riapertura di altre attività, come bar e centri di intrattenimento, chiuse anch’esse dal marzo 2020. Al momento è ancora in vigore anche il coprifuoco dall’alba al tramonto, volto a contenere l’espandersi del virus.
Durante il lockdown scolastico, il ministero dell’Educazione ha messo a disposizione degli alunni materiale didattico e lezioni via radio e televisione. Ma bisogna chiedersi quanti giovanissimi avranno potuto o voluto seguire i corsi con regolarità, specie nelle aree rurali remote, dove spesso manca la corrente elettrica. E a prescindere dalle difficoltà logistiche, i dati raccolti da NAP (National Planning Authority, l’ente per la Pianificazione n.d.r.) parlano chiaro: durante tutto questo periodo metà degli studenti non ha aperto un libro.
La pandemia globale non minaccia solamente la salute e le vite di tutti, il virus ha scatenato anche una crisi dei diritti dei bambini, negando istruzione e protezione. I più giovani e vulnerabili vengono privati della loro infanzia o adolescenza.
Molti giovani e giovanissimi non ritorneranno sui banchi di scuola il prossimo gennaio, tra queste la quindicenne Florence, rimasta incinta già due volte dal marzo 2020. Ora vive a Kamwoyka, un quartiere informale e sovraffollato di Kampala, dopo essere stata cacciata dalla casa della nonna, con la quale viveva.
La ragazza non ha un lavoro stabile, in questo periodo sbuccia fagioli per un vicino per nemmeno un dollaro al giorno, a volte non basta nemmeno per dar da mangiare ai suoi due piccoli maschietti e a se stessa. “Se torno a scuola, chi si occupa dei miei bambini? Chi gli procura da mangiare?” Nella sua stessa situazione ci sono moltissime ragazze. Secondo i dati rilasciati da UNICEF, fra marzo 2020 e giugno 2021, 22,5 per cento delle ragazze tra 10 e 24 anni sono rimaste incinte. Molto spesso i genitori, specialmente se poveri, investono maggiormente nell’istruzione dei figli maschi piuttosto che in quella delle figlie, che possono sempre essere costrette a contrarre matrimoni precoci, per avere una bocca in meno da sfamare.
Filbert Baguma, segretario generale di UNATO (Unione Nazionale Ugandese degli Insegnanti) ha detto: “La chiusura delle scuole più lunga al mondo ha fatto più danni che bene. Gli studenti sono in una situazione peggiore di quella che avrebbero potuto avere in una scuola ben controllata nel rispetto delle norme anti-covid”.
Secondo i dati di NAP, il 30 per cento degli alunni non faranno rientro a scuola il prossimo gennaio, proprio a causa di gravidanze adolescenziali, matrimoni precoci e lavoro minorile.
Molti maschi, infatti, pur di contribuire al sostentamento della famiglia, sono diventati vittime del mercato del lavoro minorile; c’è chi ha trovato occupazione nelle miniere, altri vendono cibo per strada, altri ancora faticano nelle piantagioni di canna da zucchero e non ci pensano nemmeno di ritornare in classe.
Miremba è stata un’insegnante di inglese in una scuola privata. Rimasta senza lavoro, abbandonata dal marito e con 4 figli a carico, durante il lockdown ha iniziato a friggere manioca e frittelle in un quartiere periferico di Kampala. La “maestra”, come la chiamano affettuosamente i suoi clienti, non intende ritornare all’insegnamento, in quanto, grazie all’arte culinaria appena appresa, guadagna molto di più, anzi vorrebbe incrementare questo nuovo business.
Il ministero dell’Educazione continua a pagare un salario a maestri e professori delle scuole pubbliche, mentre con la fine delle lezioni, nel marzo 2020, gli istituti privati non hanno dato più nessun contributo ai loro insegnanti, che, in qualche modo hanno cercato un modo alternativo per procurarsi il pane quotidiano. Comunque, secondo UNICEF Uganda non ci sarebbe alcuna garanzia che tutti gli insegnanti – sia quelli delle scuole pubbliche che degli istituti privati – tornino in cattedra al momento della riapertura delle lezioni.
Nel frattempo gran parte degli istituti privati è stata costretta a chiudere i battenti, ha dovuto cedere in affitto i propri locali, ora adibiti a altre attività. Si stima che oltre 3.500 scuole elementari e 830 secondarie non riapriranno per gravi difficoltà finanziarie.
Dopo la lunga chiusura, il governo vorrebbe coinvolgere le comunità locali per incoraggiare studenti e insegnanti a far ritorno nelle scuole. E’ stato istituito anche un fondo di 50 milioni di dollari, volto a finanziare la ristrutturazione e/o l’ampliamento di edifici scolastici e corsi di aggiornamento per gli insegnanti. “Se le idee ci sono, i soldi però sono ben pochi”, ha sottolineato Nabendra Dahal responsabile per l’insegnamento e sviluppo dell’adolescenza di UNICEF Uganda.
Mentre, secondo Baguma, la lunga interruzione scolastica potrebbe avere un costo davvero elevato in termini economici per l’Uganda: privando i giovani dell’istruzione, il Paese perde la possibilità di forgiare una classe media qualificata.
Le disuguaglianze sociali dovrebbero essere combattuti sui banchi scolastici, l’accesso all’istruzione dovrebbe essere un bene riservato a tutti bambini, ma in Uganda, con la chiusura delle scuole per quasi due anni, la situazione è solo peggiorata.
Cornelia I. Toelgyes
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