Massimo A. Alberizzi
Milano, 16 dicembre 2021
Gli Stati Uniti sono stati dichiarati qualche giorno fa “il faro della democrazia”. Un complimento che mi è apparso fuori luogo, in un momento in cui il mondo sta diventando sempre più autoritario e le tentazioni accentratrici sono ogni giorno più frequenti.
Aprendo il summit per la democrazia una decina di giorni fa, il presidente Joe Biden ha esortato i suoi ospiti a “lottare per i valori che ci uniscono”, tra cui una stampa libera. Ha poi parlato della sua nuova iniziativa per il rinnovamento democratico, comprese le misure a sostegno dell’editoria che, ha detto, deve essere libera e indipendente, per continuare a essere il fondamento della democrazia.
Ha infine sottolineato come per la pubblica opinione sia essenziale essere correttamente informata ammonendo con inusitata serietà, che “in tutto il mondo, la libertà di stampa è minacciata”.
Una considerazione azzeccata che ben si sposa con i concetti espressi pochi secondi prima. Ma che ha poco a che fare con il comportamento americano diretto invece a colpire duramente chi, attraverso i media, cerca di portare a conoscenza della gente verità scomode, compresi crimini e insabbiamenti. Verità che l’establishment vorrebbe mantenere segrete e comunque nascoste al grande pubblico.
A dispetto di quanto dichiarato da Biden una settimana fa la Corte suprema britannica, sotto pressione della CIA e dell’FBI, ha emesso una sentenza inquietante: ha deciso che Julian Assange può essere estradato negli Stati Uniti, dove potrebbe essere condannato a un massimo di 175 anni di carcere. Stupefacente: condannato per aver fornito al pubblico verità che secondo alcuni avrebbero dovuto restare segrete.
La decisione dei supremi giudici britannici non colpisce solo Julian Assange, la sua famiglia e in generale i suoi affetti, che temono un crollo psicologico per cui non sopravvivrebbe al carcere. La sentenza colpisce tutti coloro che intendono proteggere la libertà di stampa e il diritto dei cittadini ad essere informati.
La sentenza – dal chiaro sapore politico – ribalta la decisione di gennaio di un tribunale distrettuale secondo cui il fondatore di WikiLeaks non poteva essere estradato a causa del rischio sostanziale che si suicidasse, data la sua salute mentale e le condizioni che avrebbe dovuto affrontare.
Le migliaia di documenti pubblicati da WikiLeaks hanno rivelato orribili abusi da parte degli Stati Uniti e di altri governi che altrimenti non sarebbero venuti alla luce. Un controllo mediatico sui comportamenti delle élite politiche, poco gradito da queste ultime.
Ma la cosa che stupisce e impressiona di più è che mentre si vuole punire con un inesuale accanimento processuale, Julian Assange perché ha portato a conoscenza del pubblico reati gravi come i crimini di guerra, chi ha commesso quei crimini non è neppure sfiorato, non solo dalla giustizia ma neppure dalla pubblica esecrazione. Al di là di ogni altra considerazione, l’assalto contro Julian Assange si può considererare un vero e proprio assalto alla libertà di stampa. E un assalto a tutti i giornalisti seri, liberi e indipendenti.
Perfetto quindi il commento di Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International: “Praticamente nessun responsabile dei presunti crimini di guerra statunitensi commessi nel corso delle guerre in Afghanistan e in Iraq è stato ritenuto responsabile, e tanto meno perseguito. Eppure un giornalista che ha denunciato quei crimini rischia potenzialmente l’ergastolo”.
Massimo A. Alberizzi
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