Luciano Bertozzi
14 dicembre 2021
Ian H. Lundin, presidente della società petrolifera svedese Lundin Energy e Alex Schneiter, direttore e consigliere di amministrazione della medesima società, sono stati incriminati a Stoccolma per favoreggiamento in crimini di guerra commessi nel periodo 1997- 2003 nella parte meridionale del Sudan, oggi Sud Sudan. Le accuse sono gravissime: complicità in attacchi intenzionali contro i civili, uso della fame come arma di guerra, stupri, torture e uso di bambini soldato, crimini commessi dall’esercito sudanese e dalle milizie alleate.
I magistrati svedesi hanno richiesto alla società anche la confisca di 1,4 miliardi di corone svedesi (162 milioni di dollari), in quanto profitti derivanti dalla vendita dell’attività nel Paese africano, avvenuta nel 2003.
Ian H. Lundin, in seguito alla denuncia, ha scelto, secondo quanto comunicato della società, di non ricandidarsi come presidente del consiglio di amministrazione all’assemblea generale annuale della società nel 2022.Tutti entrambi hanno respinto fermamente le accuse e nel giudizio hanno ricevuto il pieno sostegno del Consiglio di amministrazione. Resteranno comunque nell’organo di gestione, ma non in posizione di comando.
“Fu il governo sudanese diretto allora da Omar al-Bashir – afferma Amnesty International in una nota – a rendersi responsabile di questi crimini efferati, ma l’indagine della Procura svedese vuole chiarire se quei crimini furono la conseguenza dell’accordo sottoscritto nel 1997 dalla Lundin Oil AB col regime africano. Se, in altre parole, vennero commessi per consentire all’azienda di operare nel territorio individuato per le sue attività. Almeno 12 mila persone morirono nelle ostilità per il possesso dell’area petrolifera data in concessione alla Lundin ed altre 200.000 furono costrette a lasciare la loro terra.”
L’indagine della magistratura svedese, fu avviata nel 2010, a seguito del rapporto Unpaid Debt, redatto dalla ONG olandese Pax for Peace per la Coalizione Europea sul Petrolio in Sudan (ECOS), che ha svolto una lunga campagna affinché fosse aperta l’inchiesta, sulla presenza di Lundin nel Sudan.
Il rapporto ECOS, UNPAID DEBT: The Legacy of Lundin, Petronas and OMV in Sudan, 1997-2003, afferma che l’inizio dell’esplorazione petrolifera nel Blocco 5A nel Sudan meridionale aveva innescato una spirale di violenza mentre il governo sudanese e le forze a loro fedeli avevano deciso di proteggere quei giacimenti petroliferi e di prenderne il possesso.
“E’ una grande vittoria per la giustizia e un risultato storico… è la prima volta da Norimberga che una società quotata in borsa viene chiamata a rispondere in tribunale per crimini di guerra”, ha dichiarato il portavoce di Pax for Paece, Egbert Wesselink.
“Il procedimento legale – afferma sempre Pax for Peace – darà alle vittime l’accesso alla giustizia e, si spera, l’opportunità di chiedere un risarcimento. Sarebbe anche la prima volta che qualcuno è ritenuto responsabile per presunti contributi a uno degli indicibili orrori delle guerre civili del Sudan. E infine, è un’occasione molto rara che una società multimiliardaria venga accusata di complicità in crimini internazionali. I precedenti legali che creerà potranno avere un significato globale.
“Il processo rappresenta, infatti, un caso esemplare nel diritto penale internazionale – continua il commento dell’organizzazione -. I giudici svedesi hanno giurisdizione universale per alcuni crimini internazionali, ma ovviamente non è semplice processare la Società, una delle più importanti imprese del Paese scandinavo, con interessi anche in numerosi altri settori economici, per chiedere conto del suo eventuale ruolo svolto nelle violazioni dei diritti umani”.
“È comunque importante che questi gravi crimini non vengano dimenticati”, ha commentato il pubblico ministero svedese che ha diretto l’inchiesta, Henrik Attorps. “Un grande numero di civili è stato vittima dei crimini commessi dal regime sudanese di Al-Bashir, ai quali crediamo abbiano partecipato i sospettati. Molti dei sopravvissuti sono stati costretti a fuggire dalle loro case per non tornare mai più e ancora non sanno cosa sia successo ai loro parenti e amici, da cui sono stati separati”.
Il procedimento interesserà le numerosissime di vittime del conflitto che hanno diritto a vedersi riconosciuti i torti subiti e ad un indennizzo per ricostruirsi un futuro, dopo aver vissuto gli orrori della guerra per il petrolio. Tuttavia dal processo i superstiti potranno trarre unicamente una soddisfazione morale. Il tribunale svedese può imporre agli indagati di ricompensare i testimoni, ma non può obbligare la società a risarcire le decine di migliaia di danneggiati.
Sull’argomento, il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan. ha espresso pubblicamente il proprio sostegno a quanti, da tanti anni, chiedono che sia fatta piena giustizia.
Nei giorni scorsi, nonostante i problemi giudiziari, la società ha annunciato che è stata inclusa per la prima volta nell’indice S&P Global Dow Jones Sustainability Europe (DJSI che comprende i leader nell’Environmental, Social and Governance, cioè i tre fattori centrali nella misurazione della sostenibilità di un investimento) e si è classificata come una delle prime tre società in Europa nel suo settore, per il piano di decarbonizzazione.
Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it
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