6 dicembre 2021
Il Premio Nobel per la Pace 2019 ha speso miliardi di dollari per finanziare la guerra civile che insanguina il nord del Paese dai primi di novembre del 2020. In un suo articolo del 25 novembre scorso, al-Jazeera, ha rivelato che gli Emirati Arabi Uniti hanno aperto un ponte aereo per fornire un ampio supporto militare al governo etiopico.
Tra settembre e novembre oltre 90 voli sono partiti da Abu Dhabi verso l’Etiopia, grazie alla collaborazione di due vettori privati, uno spagnolo, l’altro ucraino.
I giornalisti stranieri non hanno accesso alla zona di guerra, è pertanto impossibile ricevere notizie indipendenti, ma le immagini satellitari non mentono, mostrano anche un drone Wing Loone I UCAV di fabbricazione cinese, in una base etiopica e un aereo cargo russo Ilyushin, intento a scaricare materiale bellico.
I missili TL-2 per armare il drone cinese sono arrivati tramite l’Ethiopian Airlines all’inizio di novembre insieme ad altri armamenti. Fonti del governo etiopico hanno poi ammesso di aver acquistato 50 missili leggeri aria-superficie TL-2, adatti al Wing Loong I UCAV.
“Dobbiamo distruggere il nemico” ha sentenziato Abiy Ahmed, primo ministro etiopico, poco prima di patire in visita al fronte.
Il premier considera pericolosi ribelli anche religiosi cattolici di origine tigrina, come le 6 suore e i due diaconi arrestati qualche giorno fa a Addis Ababa. Tra le religiose fermate, come riporta Agenzia Fides, c’è anche la quarantottenne Abrehet Teserma, appartenente all’ordine delle Orsoline di Gandino, un’insegnante della scuola materna di Shola, Addis Abeba, una delle due case nella capitale etiopica appartenenti alla congregazione.
E a proposito di scuole, il governo ha disposto la chiusura di tutte le scuole secondarie. Lo ha fatto sapere il ministro dell’educazione venerdì scorso, precisando: “I ragazzi devono impegnarsi nel raccolto, visto che gli altri giovani sono tutti al fronte per combattere i ribelli”.
Continuano i rastrellamenti di tigrini nella capitale, e chi non è ancora in stato di fermo è stato chiamato a manifestare contro il Fronte di Liberazione del Tigray (TPLF) ieri mattina.
La mediazione di Olusegun Obasanjo, ex golpista e ex presidente nigeriano, ora alto rappresentante dell’Unione Africana per la pace nel Corno d’Africa, è fallita e dunque guerra e fame non si arrestano nel nord del Paese. Recentemente le forze etiopiche hanno riconquistato alcune postazioni, come la città sacra di Lalibela, nell’Amhara, famosa per le sue chiese monolitiche scavate nella roccia. Lalibela è stata proclamata patrimonio dell’umanità nel 1978.
In un intervista concessa alla BBC, Bacha Debele, un comandante delle forze armate etiopiche (EDF), ha dichiarato che la guerra andrà avanti. “Non so se ci fermeremo una volta riconquistata Makallé, il capoluogo del Tigray” ha sottolineato Bacha.
Mentre il TPLF ha dichiarato che si tratta di ritiri strategici da alcune aree, appunto quelle riconquistate dai militari di Addis Abeba.
E la fame è senza fine. Nella regione Amhara 3,7 milioni di persone necessitano urgentemente aiuti umanitari, nell’Afar mezzo milione e nel Tigray 5,2, dove oltre 400mila si trovano già da mesi in condizione di carestia.
Secondo quanto riportato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, tra il 24 e 30 novembre sono arrivati 4 convogli composti da 157 camion a Makallé, i primi aiuti giunti da metà ottobre. Le autocisterne con carburante sono ferme a Semera (Afar) dal 2 agosto, in attesa di autorizzazioni per poter procedere verso il Tigray.
Il 24 novembre sono finalmente ripresi anche i voli bisettimanali di UNHAS (servizio aereo umanitario dell’ONU), da Addis Ababa verso Makallé, interrotto a fine ottobre. Finalmente l’ONU e i suoi partner umanitari sono nuovamente in grado di ruotare il proprio personale e di trasferire una quantità limitata di denaro, necessario per operazioni sul campo.
Altre aggressioni si sono verificate nella regione dell’Oromia, iniziate il 1° dicembre durante una cerimonia religiosa. Da un lato OLA (Oromo Liberation Army, che combattono con TDF, Tigray Defense Forces), accusa le forze governative di uccisioni e sequestri nella zona di East Showa, mentre le autorità regionali puntano il dito su OLA.
Quattordici esperti nominati dal Consiglio per i Diritti umani con base a Ginevra, hanno richiamato l’attenzione sulle violenze sessuali e di genere nei confronti delle donne nel nord dell’Etiopia. Il rapporto, reso pubblico il 3 dicembre scorso, si basa sul periodo da novembre 2020 a giugno 2021.
Responsabili di questi crimini disumani sono tutte le parti in causa: soldati dell’EDF, militari eritrei, i “ribelli” del TDF, nonché le forze dell’Amhara e tutti gli alleati. E, secondo i consulenti dell’ONU, questi crimini rappresentano le più gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale.
Sono state raccolte oltre duemila testimonianze, la maggior parte delle vittime sono minorenni. Il numero delle violenze subite dalle donne sono sottostimate. Molte hanno paura di nuove ritorsioni, altre non sanno a chi rivolgersi, perché non possono raggiungere centri sanitari o strutture specializzate. In tante sono rimaste incinte dopo gli stupri. Abusi e le violenze avvengono ovunque, sia nelle zone rurali che in quelle urbane, nelle case delle vittime o nei luoghi dove hanno trovato rifugio. Le donne sfollate e le rifugiate eritree che vivono nella regione del Tigray, sono particolarmente esposte.
Oltre alle gravi conseguenze di questi terribili abusi, gran parte delle vittime ha dovuto affrontare altri indicibili dolori, come l’uccisione di uno o più familiari.
Africa ExPress
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