Cornelia I. Toelgyes
23 novembre 2021
All’indomani della firma dell’accordo tra il presidente del Consiglio sovrano, Abdel Fattah al-Burhan e Abdalla Hamdok, reintegrato come premier, 12 ministri e la rettrice dell’università di Khartoum, Fadwa Abdel Rahman, si sono dimessi.
Con il trattato di 14 punti, Burhan e Hamdok si sono impegnati formalmente di riprendere la via della transizione democratica, di tornare alla condivisione del potere civile-militare secondo l’accordo del 2019. Hamdok ha prospettato la formazione di un gabinetto di tecnocrati, d’altronde anche il precedente governo lo era. Anche lui stesso non è un politico, è un economista, un ex funzionario della Commissione Economica per l’Africa dell’ONU.
I ministri dimissionari erano a capo dei seguenti dicasteri: Esteri, Irrigazione, Investimenti, Energia, Sanità, Istruzione Pubblica, Culto. Trasporti, Lavoro, Gioventù e Sport, Giustizia. Facevano parte del governo di transizione guidato da Hamdok, sciolto il 25 ottobre da Burhan, autore del colpo di Stato.
La rettrice dell’università di Khartoum ha dichiarato apertamente che le sue dimissioni sono una forma di protesta contro l’accordo politico siglato tra Burhan e Hamdok.
Alcuni dei ministri che hanno rinunciato alla poltrona facevano parte di Forces of Freedom and Change, coalizione civile, che comprende Sudanese Professional Association e partiti all’opposizione. Già domenica, sia FFC che SPA avevano annunciato di non accettare in alcun modo l’accordo tra i militari e Hamdok.
“Non è possibile tornare indietro. Accettare l’accordo di domenica, significa tollerare e accettare che i fautori del putsch restino nel Consiglio sovrano e questo sarebbe una battuta d’arresto che non possiamo approvare in alcun modo”, ha spiegato Gaffar Abbas, portavoce di FFC.
Anche El Watheg El Bereir, segretario generale del Partito Nazionale Umma (la ministra degli Esteri dimissionaria Mariam al-Sadiq al-Mahdi è una dei leader), ha sottolineato che il partito rifiuta qualsiasi accordo politico. Simili dichiarazioni sono state espresse anche dal Partito del Congresso Sudanese e dal raggruppamento politico Federal Gathering.
Subito dopo il colpo di Stato i sudanesi hanno manifestato in molte città del Paese. Le dimostrazioni di protesta pacifiche sono sempre state soppresse con la forza da parte dell’esercito, polizia e paramilitari RSF. Sono oltre 40 i manifestanti uccisi, centinaia i feriti. Anche ieri è morto un ragazzo di soli 16 anni, colpito da un proiettile.
La scorsa settimana il generale si è autonominato presidente del Consiglio sovrano, e ha riconfermato come vice-presidente Mohamed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, a capo dei paramilitari Rapid Support Forces, in passato leader dei famigerati janjaweed, i tagliagole durante la guerra in Darfur.
Secondo alcuni osservatori, l’accordo di domenica permette comunque ai militari di mantenere gran parte del controllo nel Paese.
Se da un lato il mondo arabo (Lega Araba, Arabia Saudita, Egitto) ha accolto favorevolmente l’accordo siglato domenica a Khartoum, Anthony Blinken, segretatio di Stato di Washington, ha fatto sapere tramite il suo portavoce Ned Price che l’intesa rappresenta solamente un “primo passo” per ripristinare la transizione democratica del Sudan.
Cornelia I. Toelgyes
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