Cornelia I. Toelgyes
22 novembre 2021
Il primo ministro Abdallah Hamdok è stato reintegrato nelle sue funzioni di primo ministro del Sudan dal presidente del Consiglio Sovrano, Abdel Fattah al-Burhan, golpista del 25 ottobre scorso.
Hamdok, agli arresti domiciliari dal giorno del putsch, ha potuto lasciare la sua casa ancora strettamente sorvegliata, per recarsi al palazzo presidenziale per siglare l’accordo con Burhan.
La breve cerimonia, durante la quale hanno preso la parola entrambi, è stata trasmessa in diretta TV sull’emittente di Stato. Hamdok e Burhan si sono impegnati formalmente di riprendere la via della transizione democratica, di tornare alla condivisione del potere civile-militare secondo l’accordo del 2019.
Oltre alla reintegrazione di Hamdok come primo ministro, il trattato odierno, che comprende 14 punti, prevede anche la liberazione di tutti politici arrestati in seguito al colpo di Stato.
I militari avevano preso tempo per (ri)nominare il primo ministro. Se fino a poche ore fa Burhan era rimasto inflessibile, ora ha dovuto cedere alle pressioni interne e internazionali.
La scorsa settimana il generale si è autonominato presidente del Consiglio sovrano, e ha riconfermato come vice-presidente Mohamed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, a capo dei paramilitari Rapid Support Forces (RSF), in passato leader dei famigerati janjaweed, i tagliagole durante la guerra in Darfur.
Oltre a lui ha lasciato al loro posto anche gli altri militari e ha nominato diversi nuovi membri in rappresentanza delle regioni del Paese e ex leader di milizie armate, firmatarie dell’accordo di Juba dello scorso anno. Aveva però escluso le Forces of Freedom and Change (FFC), il gruppo della società civile che ha guidato le manifestazioni contro il vecchio dittatore Omar al-Bashir, poi spodestato proprio da al-Burhan nell’aprile 2019.
Secondo Cameron Hudson, ex funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e esperto del Sudan all’Atlantic Council’s Africa Center, ha detto che l’accordo odierno permette comunque ai militari di mantenere gran parte del controllo nel Paese.
La reintegrazione di Hamdok non ha calmato la folla. Parte della popolazione non ha gradito che il premier abbia firmato assieme al generale golpista il documento che lo riabilita. Troppe condizioni con il potere che resta saldamente in mano ai militari. E’ quindi scesa nuovamente in massa nelle strade di Khartoum, Omdurman, città gemella di Khartoum, situata sulla sponda occidentale del Nilo e Bahri, città a nord della capitale. I dimostranti hanno gridato all’unisono: “I militari devono tornare nelle loro baracche”. E “Hamdok ha venduto la rivoluzione”.
Sudanese Professional Association (SPA), tra gli organizzatori della marcia di protesta di odierna, hanno addirittura accusato Hamdok di tradimento. Testimoni oculari, nonchè lo stringer di Africa ExPress hanno confermato l’uso di gas lacrimogeni e di pallottole da parte delle forze dell’ordine e di sicurezza. Un ragazzino di appena 16 anni è morto, colpito da un proiettile. Il suo decesso è stata confermato dal Comitato centrale dei medici sudanesi.
Cornelia I. Toelgyes
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