Cornelia I. Toelgyes
17 novembre 2021
I sudanesi non si rassegnano. Uniti più che mai, sono scesi nuovamente nelle strade per esprimere la loro protesta contro il golpe del 25 ottobre. “No al potere militare” è lo slogan cantato e urlato dai manifestanti a Khartoum e in altre città del Paese.
Le forze di sicurezza e la polizia hanno bloccato i ponti che collegano Khartum a Omdurman, città gemella di Khartoum, situata sulla sponda occidentale del Nilo e Bahri, città a nord della capitale. Internet e i social network sono bloccati dal 25 ottobre, malgrado l’ordine della Corte Suprema di ripristinare i collegamenti in rete.
Anche oggi la polizia e i militari hanno usato la forza per disperdere e reprimere i manifestanti. Testimoni oculari hanno confermato l’uso di gas lacrimogeni e pallottole vere. I dimostranti non si sono lasciati intimorire. Hanno continuato la loro protesta, hanno mostrato manifesti con le persone uccise in occasione di altre marce di dissenso e sventolato foto del primo ministro Abdalla Hamdok, agli arresti domiciliari dal giorno del golpe. Durante le dimostrazioni odierne sono morte 14 persone, decine i feriti. Il bilancio è tutt’ora provvisorio.
Secondo l’associazione dei medici durante le proteste di sabato sono morte otto persone, tra questi anche adolescenti, come il 13enne Remaaz Hatim al-Atta, colpito da una pallottola alla testa davanti alla casa dei genitori a Khartoum, e Omar Adam, che si è accasciato a terra dopo essere stato trafitto da un proiettile alla schiena. Dal 25 ottobre a oggi sono almeno una trentina i manifestanti uccisi dai militari.
I gruppi pro-democratici hanno promesso di continuare le proteste finchè non sarà instaurato nuovamente il governo civile.
In un’intervista esclusiva con Africa ExPress, Albaqir al-Affif Mukhtar, attivista per i diritti umani, capo di the Horn of Africa Civil Society Forum, nonché direttore di KACE (Al Khatim Adlam Centre for Enlightenment), ha spiegato in che direzione sta andando il Sudan
1. Il generale Abdel Fattah al-Burhan ha annunciato la composizione del nuovo Consiglio di transizione, presieduto da lui stesso. Mohamed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, rimarrà vicepresidente aggiunto. Le Forces Freedom and Change (FFC) sono state escluse nella formazione del nuovo Consiglio. Quali saranno i prossimi passi di Burhan?
Il suoi prossimi passi saranno quelli di nominare il primo ministro e il gabinetto dei ministri.
3. Burhan ha promesso elezioni libere per il 2023, ma cosa succederà nel frattempo?
Intanto lui adatterà tutte le istituzioni governative in modo che il governo che sarà eletto, sarà completamente a favore del vecchio regime.
4.La comunità internazionale ha condannato il colpo di stato del 25 ottobre, compresi l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, e ha chiesto il ritorno del governo civile guidato da Hamdok e l’immediato rilascio dell’ex primo ministro. Quali saranno le conseguenze internazionali delle scelte di Burhan?
Il Sudan tornerà al punto di partenza, sarà uno Stato isolato.
5. Secondo lei, quali sono i governi che sosteranno Burhan?
Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Russia e Cina.
6. E le relazioni con le nazioni vicine, in particolare con Etiopia, Paese con il quale ci sono molte questioni da risolvere: i confini di al-Fashaga e il GERD?
Le relazioni con l’Etiopia rimarranno tese e il conflitto continuerà.
7. Crede che le forze democratiche e i militari possano alla fine riaprire un dialogo e trovare una soluzione comune per la transizione?
Non c’è modo di trovare un terreno comune tra gli attuali leader dell’esercito e la FFC. Le proteste continueranno finché il Sudan non diventerà ingovernabile e non emergerà una nuova leadership dall’esercito. A meno che Burhan non venga rimosso.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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