Antonio Mazzeo
14 novembre 2021
Domenica 14 novembre, poco dopo mezzogiorno, è salpata da Genova la nave cargo “Bahri Abha” battente bandiera saudita con a bordo numerosi carri armati ed elicotteri d’assalto di produzione statunitense, destinati alle forze armate di Riyadh. L’imbarcazione è diretta a Alessandria d’Egitto dove dovrebbe approdare la mattina di giovedì 18, per proseguire poi il suo viaggio sino alla destinazione finale di Gedda.
Dal sito vesselfinder.com che fornisce informazioni sulle rotte delle unità navali commerciali, la “Bahri Abha” proviene dagli Stati uniti d’America: è partita da Dundalk (Maryland) la sera del 27 ottobre dopo aver fatto sosta a Houston (Texas) il 14 ottobre, Pensacola (Florida) il 16, e Wilmington (North Carolina) venerdì 23 ottobre.
La “Bahri Abha” era giunta nel porto di Genova il 12 novembre; a denunciare la presenza nelle stive dell’imponente carico bellico è stato The Weapon Watch, l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e del Mediterraneo a cui aderiscono lavoratori del porto, ricercatori e pubblicisti con lo scopo di monitorare la logistica per la difesa e in particolare il transito degli armamenti attraverso i porti italiani ed europei.
“Con qualche giorno di ritardo sul previsto, la nave Bahri Abha era arrivata a Genova, accolta dal solito massiccio schieramento di polizia per scongiurare proteste violente che né qui né in altri porti italiani si sono mai verificate”, scrive The Weapon Watch. “La nave sta trasportando un gran numero di casse e contenitori di esplosivi, container di merci infiammabili e come abbiamo documentato fotograficamente, almeno una mezza dozzina di elicotteri Sikorsky UH-60M Black Hawk in dotazione alla Guardia nazionale saudita e dodici carri armati Abrams M1A2”.
Secondo l’Osservatorio genovese, ogni 2-3 settimane una delle navi di proprietà della compagnia saudita “Bahri” transita dal porto di Genova. “In questi anni abbiamo documentato il trasporto di tipologie diverse di armamenti. Si va dagli shelter e dai gruppi elettrogeni prodotti dalla società Teknel S.r.l. di Roma, ai cannoni CAESAR (Canons équipés d’un système d’artillerie) della francese Nexter, motorizzati Renault su telai Mercedes-Unimog. Abbiamo visto pure una parte degli oltre 700 blindati LAV (Light Armoured Vehicles) mod. 6.0 fabbricati da General Dynamics e il cui acquisto ha generato uno scandalo economico-finanziario in Canada. E sono passati da Genova anche i blindati Patria AMV 1 di produzione finlandese, i soli concorrenti sul mercato dei LAV di General Dynamics”.
“Notevoli i quantitativi di main battle tanks visti o documentati nelle stive, soprattutto gli Abrams M1A2 e probabilmente anche del modello SEPV 3, recente versione con importanti upgrade elettronici”, aggiunge The Weapon Watch. “E persino mezzi specializzati come gli Howitzer 109A6 ‘Paladin’ e i M88A2 Hercules. E, sempre, container e container di munizioni pesanti, missili, esplosivi, in particolare quelle prodotte dalle americane Raytheon e Lockheed Martin, dal gruppo tedesco Rheinmetall, dalla spagnole Defex e Maxam”.
I portuali genovesi e i ricercatori dell’Osservatorio ritengono che le soste nei porti italiani di queste unità cargo violino il Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali e la legge n. 185/1990 che vieta esplicitamente l’esportazione ed il transito di materiali di armamento verso i Paesi in guerra e/o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. “Tutto ciò continua ad accadere nell’apparente inerzia delle autorità e del governo italiano”, aggiunge The Weapon Watch. “In realtà è palese il pieno sostegno governativo e su istigazione degli interessi economici coinvolti si è applicata la repressione di polizia a chi osa contestare il traffico di morte che continua a svolgersi sotto i nostri occhi”.
I portuali genovesi puntano il dito soprattutto sul cliente-destinatario finale di buona parte dei carichi bellici transitati dall’Italia, il Regno dell’Arabia saudita, a capo della coalizione che con i suoi bombardamenti ha prodotto devastazioni e morte in Yemen. “Nel 2021, dopo sei anni di guerra, quella yemenita è la maggiore crisi umanitaria in corso”, spiegano gli attivisti No Weapons. “Secondo Human Rights Watch sono stati sinora uccisi o feriti 18.400 civili e due terzi della popolazione – cioè circa 20 milioni di persone – richiedono assistenza alimentare e sono esposti alla crisi pandemica da COVID-19. Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti continuano le operazioni militari aeree congiunte, sebbene gli EAU abbiano ritirato le proprie truppe nel 2019. In particolare sono colpite le infrastrutture civili, comprese le scuole e gli ospedali. Nel paese mancano il carburante e i servizi di base, e spadroneggiano le milizie abusive locali”.
I lavoratori del porto di Genova hanno dato vita a una grande mobilitazione popolare contro il transito delle navi cargo-militari, con scioperi e azioni dirette di blocco delle operazioni di carico. Nel maggio 2019 i portuali riuscirono a impedire che i container presenti nelle banchine di Genova venissero caricati a bordo della nave “Bahri Yanbu” che ripartì senza i sistemi d’arma pesanti – tra cui i micidiali cannoni francesi CESAR – destinati alle forze armate saudite.
A Genova le manifestazioni di protesta – con la presenza dei portuali e dei militanti delle forze politiche e delle associazioni No War, si sono susseguite anche di recente: l’ultima risale al 21 luglio, quando approdò in porto la “Bahri Jazan” proveniente da Baltimora (Usa) e diretta a Iskenderun, in Turchia.
Le navi cargo “Abha”, “Yanbu” e “Jazan”, insieme alle sorelle “Jeddah”, “Tabuk” e “Hofuf” appartengono tutte alla grande società di navigazione e logistica “Bahri”, istituita con decreto del sovrano d’Arabia nel 1978 e oggi di proprietà per il 22% del Fondo d’investimento statale, per il 20% della compagnia petrolifera saudita SADCO e per il restante 58% di azionisti privati.
A metà marzo, le abitazioni di alcuni militanti del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) sono state perquisite dagli agenti della DIGOS su mandato della Procura della Repubblica. Gli inquirenti genovesi hanno contestato un’incredibile serie di reati, tra cui l’associazione per delinquere, la resistenza a pubblico ufficiale, il lancio di oggetti pericolosi, l’attentato alla sicurezza pubblica dei trasporti, ecc… “Dallo sciopero indetto due anni fa per bloccare un carico destinato alla guerra in Yemen, a oggi, passando per la manifestazione di un anno fa contro il transito di esplosivi a bordo di un’altra Bahri diretti alla guerra siriana, gli armatori sauditi attraverso l’agenzia genovese Delta e il Terminal GMT avevano chiesto a più riprese alla Procura la testa dei portuali”, scrivono i militanti del CALP. “Per quale colpa? Per avere messo in pratica, con le associazioni e i movimenti contro la guerra e per i diritti civili ciò che il Parlamento ha approvato poco dopo lo sciopero nel porto di Genova: lo stop alla vendita di bombe e missili ad Arabia e Emirati”.
“La Procura sostiene che il CALP si è reso colpevole di avere strumentalizzato la protesta con dispositivi modificati in modo da renderli micidiali”, aggiungono i portuali. “I bengala e i fumogeni utilizzati per attirare l’attenzione sulle navi dalle stive e i ponti piene di armi e esplosivi diretti a fare stragi sarebbero micidiali, non le armi e gli esplosivi caricati sulle navi. In realtà il CALP ha usato un’arma micidiale, ossia lo sciopero. Questo ha fatto tremare gli armatori e i terminalisti”.
“Rivolgiamo un invito alla Procura: ad acquisire i documenti di carico e di destinazione delle merci trasportate dalle navi Bahri verso gli Stati del Medio Oriente, compresa la Turchia che, denunciata dalla stessa procura per la nave Bana in relazione all’embargo libico, impiega in Siria contro i civili le armi sbarcate a Iskenderun. E che sia segnalata alla Procura di Roma l’Agenzia Delta quale rappresentante delle navi Bahri che hanno trasportato dall’Italia le bombe della RWM Italia S.p.A. incriminate per la strage civile procurata in Yemen”.
Antonio Mazzeo
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