Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
5 Novembre 2021
Leonardo, holding del complesso militare-industriale, detta l’agenda della politica estera e della cooperazione italiana nell’Africa sub-sahariana e lo fa per voce dell’ex ministro dell’interno Marco Minniti (già Pci oggi Pd).
Il 29 ottobre 2021 a Roma, alla presenza del ministro alla Presidenza della Repubblica del Niger Rhissa Ag Boula e del consigliere del presidente nigerino Salim Mokaddem, il gruppo Leonardo S.p.A. e la propria Fondazione Med-Or di freschissima istituzione hanno consegnato cinquanta concentratori di ossigeno alla Repubblica del Niger da destinare ad alcune strutture sanitarie impegnate nell’assistenza a malati di Covid-19.
“Questa iniziativa conferma il ruolo della Fondazione Med-Or e la convinzione con cui Leonardo supporta questo progetto e rappresenta un segno tangibile della volontà di queste due realtà di valorizzare e promuovere uno spirito di comunità tra Africa ed Eurasia”, ha dichiarato Alessandro Profumo, amministratore delegato della società leader in Italia nella produzione di sistemi militari. “Leonardo, campione tecnologico nazionale, rappresenta un volano della proiezione dell’Italia nel mondo e una garanzia del ruolo storico del Paese quale ponte fra civiltà e culture diverse”.
Molto più articolato l’intervento del presidente della fondazione di promozione culturale e scientifica per rafforzare in legami tra l’Italia, l’Africa, il Medio e l’Estremo oriente, Marco Minniti. “Il Sahel è una regione particolarmente colpita dalla pandemia da Covid-19, non solo per i suoi effetti sanitari, ma anche per quelli di natura economica e sociale”, ha esordito l’ex titolare del dicastero dell’interno. “Confidiamo che questa nostra iniziativa di solidarietà verso la Repubblica del Niger, un Paese centrale nel Sahel e in tutta l’Africa Sub-sahariana, possa rappresentare un utile contributo alla lotta contro la pandemia (…) Questo primo atto può rappresentare un passaggio verso una cooperazione più strutturata con il Niger. A questo proposito, aspettiamo dei giovani studenti provenienti da questo Paese, che vogliano studiare nelle nostre università, e che per noi sarà un onore accompagnare verso l’alta formazione”.
Marco Minniti ha specificato le ragioni per cui è stato scelto il Paese sub-sahariano quale interlocutore privilegiato dei programmi di aiuto allo sviluppo di Leonardo S.p.A. e della Fondazione Med-Or. “Nel Sahel si gioca una sfida decisiva per la sicurezza complessiva del Mediterraneo e dell’Europa, per la lotta contro il terrorismo e per il tema dei flussi migratori”, ha dichiarato Minniti. “In una regione così complessa, il Niger costituisce un riferimento strutturale di democrazia e di stabilità, e questa è una buona notizia per l’Africa e per l’Europa”.
Dopo aver elencato le tensioni e i conflitti che tormentano il continente africano (Libia, Repubblica Centroafricana, Mali, Sudan, Somalia, Etiopia-Tigray, ecc.), il presidente della Fondazione Med-Or ha condensato in due sole frasi il pensiero politico-militare dominante alla base dell’interventismo globale di stampo neocoloniale in territorio africano. “La nostra azienda produce i sensori per il controllo dei confini ma sappiamo perfettamente che senza le tribù del deserto quei confini non possono essere sorvegliati”, ha spiegato Minniti. “Questo perché è indispensabile il fattore umano, non esistendo una tecnologia che possa cancellare completamente l’importanza del fattore umano”.
Sensori e dispositivi elettronici per murare le frontiere dei deserti che frontiere mai hanno avuto e tribù di uomini-soldato per fare la guerra ai migranti e alle migrazioni in nome e per conto delle transnazionali energetiche e minerarie. Ecco in sintesi il Minniti-pensiero, in verità non del tutto nuovo, avendolo già elaborato e proposto per la Libia post-Gheddafi, quando era l’uomo guida del Viminale.
Ad oggi, in verità, non c’è traccia di commesse e affari in Niger di Leonardo e delle aziende controllate produttrici di cannoni, blindati, missili, caccia, elicotteri, droni, radar e centrali d’intelligence. Ma il sistema Italia c’è nel cuore strategico del Sahel, grazie ad una missione militare ben armata e che ha pure assunto il ruolo di rappresentare in loco il buon cuore della moderna “cooperazione” istituzionale.
Identificata come MISIN – Missione bilaterale di Supporto nella Repubblica del Niger, l’operazione militare in territorio africano ha preso il via dopo la delibera del Consiglio dei Ministri del 28 dicembre 2017 (governo di centrosinistra con premier Paolo Gentiloni, ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Angelino Alfano, della difesa Roberta Pinotti e dell’interno Marco Minniti).
“L’obiettivo di MISIN è quello di incrementare le capacità di contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza da parte delle autorità nigerine e degli altri Paesi del G5 Sahel (Mauritania, Ciad, Burkina Faso e Mali), nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area”, spiega lo Stato maggiore delle forze armate. “La Missione ha anche lo scopo di garantire la raccolta informativa in merito al traffico degli esseri umani e concorrere alle attività di sorveglianza del territorio e delle frontiere, nonché di addestrare le Forze Speciali nell’area di Agadez e la componente aerea della Repubblica del Niger”. Le attività di assistenza e formazione sono indirizzate alle forze armate e alle task force “speciali”, alla Gendarmeria e alla Guardia nazionale nigerine.
Secondo la legge di bilancio 2021, MISIN prevede la presenza in Niger e presso il Defence College in Mauritania di 295 militari, 160 automezzi leggeri e pesanti e 5 aerei. Si tratta in particolare di personale specializzato in attività addestrative e operazioni di ricognizione, comando e controllo; team sanitari e del genio per lavori infrastrutturali; una squadra per le rilevazioni contro le minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (CBRN); unità per la raccolta di informazioni d’intelligence e la sorveglianza.
I militari italiani sono ospitati nella base aerea 101 realizzata e controllata dalle forze armate francesi accanto all’aeroporto internazionale “Diori Hamani” della capitale Niamey, da cui decollano i droni per le operazioni d’intelligence e strike nell’ambito dell’Operazione Barkhane in Sahel. Lo scorso 13 aprile, il ministro della difesa Lorenzo Guerini ha però annunciato che l’Italia aprirà una nuova base militare in Niger “la cui costruzione inizierà a partire dal luglio 2021”. “Lo ritengo un passo molto importante per il rafforzamento della nostra azione nella regione, che in prospettiva andrà a confluire in una sempre maggiore capacità dell’Europa in Sahel e nell’intera fascia sub-sahariana, dal Corno d’Africa al Golfo di Guinea, mettendola a sistema con il contributo alla stabilizzazione della Libia”, ha dichiarato Guerini, del tutto in linea con il Minniti pensiero.
Il ministro della Difesa è stato in visita ufficiale in Niger e in Mali il 21 e 22 maggio 2021, promettendo il rafforzamento della presenza militare italiana nel Sahel. Il 2 giugno anche il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Luigi Di Maio si è recato a Niamey per incontrare il presidente della Repubblica del Niger, Mohamed Bazoum, e il primo ministro Ouhoumoudou Mahamadou. “Di Maio ha poi portato il suo saluto al contingente italiano della Missione Bilaterale di Supporto in Niger, definita fiore all’occhiello della cooperazione in materia di sicurezza nel Sahel e in tutta l’Africa”, riportano le cronache.
A fine agosto è stata effettuata un’altra missione istituzionale italiana in Niger, stavolta da due parlamentari, Matteo Perego di Cremnago e Alessandro Battilocchio, entrambi di Forza Italia. “La delegazione italiana ha avuto modo di incontrare il capo del Governo nigerino, Ouhoumoudou Mahamadou, il ministro della Difesa, Alkassoum Indattou, ed il vice presidente dell’Assemblea Generale, Kalla Ankourao”, annota Difesaonline. “Tutti i rappresentanti delle istituzioni nigerine hanno auspicato un ulteriore rafforzamento delle relazioni bilaterali anche con la fornitura di equipaggiamenti alle forze armate nigerine.
In effetti, come sottolineato dall’onorevole Perego, la politica strategica dell’Italia dovrebbe supportare in misura maggiore le forze di sicurezza nigerine, colmando le non poche lacune in merito agli equipaggiamenti di cui possono disporre. Altra questione riguarda l’addestramento che viene impartito dai militari italiani. Oltre alle attività di mentoring (insegnamenti teorici sull’utilizzo delle armi e delle tattiche) sarebbe opportuno accompagnare i militari nigerini in operazione per supportarli nella lotta alle milizie jihadiste”.
In verità in questi ultimi mesi le attività di addestramento del personale nigerino si sono fatte sempre più intense e ancora più finalizzate al combattimento in ambienti complessi. I militari della Brigata “Folgore” hanno seguito la formazione del neocostituito battaglione paracadutisti nigerino con “programmi di fanteria di base, aviolanci, pianificazione e realizzazione completa di una operazione militare, pattugliamento motorizzato, organizzazione/gestione di check point e combattimento nei centri abitati”. Sempre i parà della “Folgore” hanno realizzato all’interno di un’installazione di Niamey un’area addestrativa “nella quale sono stati dislocati numerosi artifizi allo scopo di sviluppare le capacità di exploitation e sviluppo dei movimenti sul terreno dei militari nigerini”. Il centro è stato inaugurato il 26 gennaio 2021.
Il 6 giugno si è svolta a Niamey la cerimonia di chiusura del secondo corso di paracadutismo in favore di un battaglione di paracadutisti nigerino. Il corso si è svolto dal 22 maggio al 6 giugno con numerosi aviolanci sulla zona denominata “Niger 4”, nei pressi della capitale, sotto la direzione del personale del Centro Addestramento Paracadutisti di Pisa, del 187° Reggimento Paracadutisti “Folgore” di Livorno e dell’8° Reggimento Genio Guastatori Paracadutisti dell’Esercito di Legnago-Verona, più il supporto di un grande velivolo da trasporto C27J della 56^ Brigata Aviotrasportata dell’Aeronautica di Pisa.
Dal 3 maggio al 20 agosto 2021 si è tenuto invece il corso di formazione della 4^ Compagnia del Battaglione Paracadutisti nigerino, con lezioni sul contrasto agli ordigni esplosivi improvvisati e la contro-insorgenza, “affinché le unità addestrate siano in grado di contribuire ad aumentare la sicurezza e la stabilità del Niger, contrastando il traffico illegale di esseri umani, il terrorismo e il contrabbando di armi”. Il personale nigerino è stato successivamente impegnato lungo il confine che divide il Niger dal Burkina Faso.
Il 2 settembre 2021 si è concluso invece il corso per operatore del Gruppo d’Intervento e Sicurezza (GIS) della Guardia Nazionale del Niger. Il corso ha avuto una durata di cinque mesi ed è stato condotto dagli istruttori del 185° Reggimento Ricognizione ed Acquisizione Obiettivi “Folgore” dell’Esercito e del Gruppo Intervento Speciale dell’Arma dei Carabinieri. Anche i neo-operatori del GIS nigerino sono stati prontamente “impegnati in operazioni ad alto rischio e lungo i confini nigerini per contrastare l’operato delle organizzazioni terroristiche presenti nell’area”, così come riporta la nota dello Stato maggiore della difesa.
“Lo scopo che si prefigge la MISIN non è solo quello di addestrare ed incrementare i gap formativi delle Forze di Sicurezza e Difesa nigerine, ma anche quello di supportare la popolazione locale portando avanti progetti di cooperazione quali: il contrasto alle calamità naturali, la donazione di farmaci e beni di prima necessità, strutture sportive e sanitarie”, aggiungono le forze armate italiane enfatizzando l’ambiguo e pericoloso modello di intervento e cooperazione CIMIC – cioè civile-militare – che tanto sta a cuore a Leonardo S.p.A. e alla Fondazione Med-Ord di Marco Minniti & C..
“Le missioni svolte dalle nostre forze armate all’estero si caratterizzino sempre più marcatamente come interministeriali e interagenzia, nonché come espressione dell’impegno dell’intero sistema Paese nell’aiuto concreto alle realtà locali dove si interviene e nella tutela degli interessi nazionali”, si legge nella nota della Farnesina del 18 dicembre 2018, quando i militari MISIN e l’Ambasciata d’Italia a Niamey hanno consegnato alle autorità nigerine farmaci e presidi sanitari acquistati con i fondi della cooperazione allo sviluppo. Aiuti manu militari a tutela degli interessi nazionali in Sahel dunque, con l’aggravante che sempre più spesso i destinatari non sono le popolazioni civili ma le autorità di governo o le stesse forze armate nigerine.
Nell’estate del 2020, ad esempio, “nell’ambito del costante supporto volto al contrasto e alla prevenzione del virus COVID-19”, sono state donate 70.000 mascherine chirurgiche alla direzione della Sanità Militare del Ministero della difesa nigerino. “I dispositivi saranno utilizzati sia in favore della popolazione civile che accede alle strutture sanitarie militari della città di Niamey sia dal personale militare delle Forze di Sicurezza del Niger”, scrivono gli italiani.
L’ambiguità e l’arbitrarietà che caratterizzano il modello CIMIC civile-militare sono confermate da un recente comunicato della Difesa. “L’Aeronautica ha ceduto alle forze aeree nigerine dotazioni per la protezione e la difesa delle istallazioni e del proprio personale nei principali aeroporti attivi del Paese”, vi si legge. “Materiale sanitario a favore della popolazione nigerina è stato consegnato invece alle forze armate di Niamey dalle unità del Policlinico Militare Celio di Roma e della Scuola di Sanità e Veterinaria Militare dell’Esercito in missione in Niger”.
Sempre lo Stato maggiore della difesa fa sapere che il 25 marzo 2021 il contingente MISIN ha concluso un progetto CIMIC a favore del villaggio di Dara. “Si è trattato della donazione di derrate alimentari e dispositivi sanitari che serviranno al personale paracadutista nigerino quale contingenza nel contrastare la pandemia da Sars-CoV2”, spiega la Difesa. Il 24 agosto, nella base militare 101 di Niamey i reparti italiani hanno invece consegnato materiale destinato alla gestione di catastrofi naturali ed alluvioni al personale del Ministero dell’Azione Umanitaria e delle Catastrofi del Niger. L’8 settembre si è concluso invece un progetto CIMIC “finalizzato al sostegno della popolazione di un campo sfollati per le alluvioni, nella periferia sud di Niamey”. Nello specifico è stata allestita una tendopoli dal personale del 6° Reggimento Genio Pionieri di Roma e del Multinational CIMIC Group di Motta di Livenza (un reparto specializzato dell’Esercito che opera in ambito NATO).
Un secondo progetto CIMIC si è concluso invece il 22 settembre 2021. “Finalizzato al sostegno dei civili e delle famiglie dei militari dell’Aeronautica nigerina di stanza a Niamey, la Missione MISIN ha consegnato un campo multifunzionale di basket, pallamano e calcetto al personale e alle loro famiglie della base aerea 101, luogo in cui è situato il contingente italiano schierato in Niger”, spiega il Ministero della difesa. A coordinare il programma di cooperazione ancora una volta il CIMIC Group NATO di Motta di Livenza.
Non tutti i doni sono stati civili-militari e così non sono mancate le consegne di attrezzature e sistemi di guerra made in Italy. Un vecchio proverbio recita che A caval donato non si guarda in bocca, ma ad analizzare i documenti predisposti dal Ministero della difesa e da quello degli affari esteri, per la “cessione a titolo gratuito di materiale di armamento a favore della Repubblica del Niger”, non si può che restare basiti e indignati. Nell’annunciare il trasferimento “entro la fine del 2021” di 250 giubbetti antiproiettile per addestramento, 250 elmetti in kevlar (fibra sintetica altamente resistente alla trazione), 10 caschi balistici e 8 tute antiframmento con relativi contenitori, viene esplicitato infatti che “i materiali di armamento oggetto di cessione risultano obsoleti per cause tecniche”.
“In particolare, i giubbetti antiproiettile e gli elmetti in kevlar risultano obsoleti a causa dell’impossibilità e della non economicità ad effettuare degli interventi di rispristino e di mantenimento delle caratteristiche prestazionali e di protezione originarie indispensabili per poterli impiegare per fini operativi”, specifica il governo italiano. “Le tute antiframmentazione RAV 50 risultano obsolete a causa della vetustà del materiale e della progressiva scadenza di validità della protezione balistica dei vari lotti che non hanno superato le prove balistiche per l’estensione della vita”.
Ancora un disastro della malacooperazione in salsa italiana…
Antonio Mazzeo
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