Cornelia I. Toelgyes
2 novembre 2021
Piano piano tornano i beni di prima necessità a Khartoum. Finalmente è stata sbloccata la strada che collega la capitale a Port Sudan, città situata sul Mar Rosso e che ospita il più importante porto del Paese. La strada e anche alcune miniere sono rimaste bloccate da metà settembre. C’è chi mormora che la loro protesta sia stata appoggiata dai militari, che ovviamente negano.
Simpatizzanti e aderenti al gruppo politico Beja Congress, al quale aderiscono membri di varie etnie, ma per lo più beja, hanno finalmente tolte le barricate subito dopo la presa di potere dei militari.
I beja abitano la regione sudanese ad est del Nilo, dalla frontiera con l’Egitto a quella con l’Eritrea.
A settembre il raggruppamento aveva chiesto al governo allora in carica di dimettersi quanto prima, avanzando la pretesa che venisse sostituito con un esecutivo composto da tecnocrati. Aveva inoltre insistito che diversi punti dell’ accordo di pace, siglato nell’ottobre dello scorso anno con il governo e gruppi ribelli in tutto il Sudan, venissero rinegoziati. In caso contrario avrebbero ripreso l’occupazione entro un mese.
Ieri l’ex primo ministro Abdalla Hamdok, ancora agli arresti domiciliari, ha incontrato gli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia nella propria abitazione. Durante l’incontro Hamdok ha detto che il ripristino del suo governo, sciolto una settimana fa dal generale Burhan, potrebbe essere una soluzione per il futuro del Paese.
Secondo quanto si apprende, Jeffrey Feltman, inviato speciale per il Corno d’Africa di Washington, dovrebbe ritornare nei prossimi giorni a Khartoum per proseguire i dialoghi con le parti. Anche Volker Perthes, rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU per il Sudan, ha fatto sapere che sono in corso mediazioni con Hamdok e le sue controparti.
Intanto nulla si sa degli altri membri del governo e degli alti funzionari arrestati dai putschisti. Kamal al-Gizouli, capo del collegio dei difensori è molto preoccupato per loro sorte.
Nei giorni scorsi i militari hanno liberato alcuni personaggi legati all’ex presidente Omar al Bashir. Tra questi l’ex ministro degli Esteri e leader del raggruppamento politico National Congress Party, Ibrahim Ghandour. Secondo quanto hanno riferito i suoi familiari a Reuters, ieri mattina Ghandour è stato arrestato nuovamente.
Al-Arabiya TV, emittente saudita con base a Dubai, ha raccontato che subito dopo il golpe del 25 ottobre, che i Beja hanno espresso il loro sostegno alle autorità militari e al generale Abdel Fattah al-Burhan.
Subito dopo il colpo di Stato in Sudan, l’Arabia Saudita ha semplicemente sostenuto che segue gli eventi nel Paese, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno immediatamente inviato aiuti: 3 aerei con complessivi 283.805 chilogrammi di medicinali, forniture mediche.
Entrambi i governi hanno invitato alla calma per evitare un inasprimento dell’attuale situazione. Va ricordato che nell’aprile 2019 Arabia Saudita e EAU avevano promesso 3 miliardi di dollari alla giunta militare transitoria che aveva rovesciato Omar al-Bashir dopo trent’anni di dittatura.
Burhan ha svolto ruoli importanti anche sotto il vecchio despota. Dopo aver studiato all’accademia militare a Khartoum, ha frequentato corsi di addestramento in Egitto e Giordania. E’ stato comandante delle forze armate di terra; nel febbraio 2019, due mesi prima della caduta di al-Bashir, ha occupato la posizione di ispettore generale delle forze armate. Analisti e media sostengono che Burhan coordinasse l’invio di truppe sudanesi nello Yemen come parte della coalizione a guida saudita contro i ribelli huti, sostenuti dall’Iran.
Qualcuno sostiene che il colpo di Stato della scorsa settimana in Sudan sia stato orchestrato con l’aiuto dell’Egitto. Il governo del Cairo preferirebbe senz’altro una leadership militare perchè favorirebbe meglio gli interessi di entrambi i Paesi nei negoziati con l’Etiopia per la questione del Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD). Nel marzo dell’anno in corso il presidente egiziano ha incontrato a Khartoum Burhan, allora presidente del Consiglio sovrano, proprio per discutere dettagli riguardanti il GERD.
I rapporti militari tra Egitto e Sudan si sono intensificati nell’estate 2020, quando l’Etiopia ha terminato la prima fase del riempimento della diga. Nel novembre 2020 e nella primavera di quest’anno le due forze armate hanno organizzato esercitazioni congiunte, Nile’s Eagles-1 (2020) e Nile’s Eagles-2 (2021), per rafforzare la loro partnership politico-militare.
Negli ultimi mesi il Sudan ha riallacciato anche i rapporti con Israele. Secondo il Times of Israel del 2 novembre 2021, nei giorni scorsi una delegazione israeliana è stata in Sudan per incontrare i capi militari coinvolti nel recente colpo di Stato. Alla visita hanno partecipato anche uomini del Mossad, che hanno incontrato Abdel Rahim Hamdan Dagalo, numero due dell’organizzazione paramilitare Rapid Support Forces (RSF), nonchè fratello di Mohammed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, vicepresidente del Consiglio sovrano e capo di RSF.
Abdel Rahim è stato a Tel Aviv alcune settimane prima del golpe. In tale occasione aveva incontrato membri del Consiglio di sicurezza nazionale e altri funzionari dell’ufficio del primo ministro. Idan Roll, viceministro degli Esteri israeliano ha detto che bisogna attendere che la situazione attuale si stabilizzi per capire se sarà possibile continuare le relazioni intraprese recentemente con Khartoum.
Intanto l’opposizione ha già messo in agenda altre proteste per i prossimi giorni, tra questi una nuova marcia è prevista per il 7 novembre prossimo su tutto il territorio nazionale.
Cornelia I. Toelgyes
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